Ecco perché la Concordia da domani ci mancherà il reportage

Dal Muro alle due Torri gli sfregi delle grandi tragedie hanno marcato popoli e terre. Ma quel che rimane a volte è peggio di quello che si perde

Ecco perché la Concordia da domani ci mancherà  il reportage

È stata la penultima notte all'isola del Giglio con la Grande Intrusa. Con quella sagoma che interrompe lo sguardo. Una cicatrice negli occhi diventata paesaggio. Metà nave e metà relitto, come una grande sirena di mare e di terra. La prua marina, del colore degli scogli, appena riemersa dalle onde. La fiancata sinistra, quella che si vede dal mare, vischiosa e amalgama di alghe, di pesci e di sabbia. Il lato destro, verso l'isola, sciolto dalla risacca e dal sale, nascosto dalla strabiliante tecnologia che è servita per portarla a galla. I ponti superiori, metà corpo, invece sono quasi intatti, come una vecchia nave appena scolorita dagli anni.

Arrivando dal mare, la Costa Concordia si confonde con le rocce dell'isola. Pietra su pietra, parte di una natura che l'ha ospitata e contaminata da due anni. Una sirena scortata da motovedette e rimorchiatori come una regina. Doveva partire oggi per Genova, l'Intrusa. Ma tutto è rimandato a domani. L'attesa è la piccola agonia di uno strana liberazione per gli abitanti di quest'isola segnata dall'errore, dal dolore e dalla cicatrice. É la perdita visiva di un simbolo che, da domani in poi, vivrà nella memoria di ognuno, e non avrà più la sua rappresentazione nel mare. Come quegli oggetti che hanno alterato città e montagne, icone di sofferenze collettive. Gli sfregi delle grandi tragedie e delle grandi incomprensioni che hanno marcato territori e le metropoli. Le Torri Gemelle mozzate, il muro di Berlino. Emblemi di distruzione e intolleranze, ma a loro modo rassicuranti perché in quell'oggetto, in quel grande intruso, in quel feticcio, era o è racchiuso, circoscritto e visibile il male. La loro perdita non è, paradossalmente, una cosa semplice con cui fare i conti.

«Oggi l'ho fotografata, sì, per la prima volta - dice Fabio, marinaio dei traghetti GiglioMare - io che l'ho vista decine di volte, la Concordia, ogni giorno, avanti e indietro, da Porto santo Stefano a qui. E anche quella notte... Arrivammo alle undici e mezzo, e vedevamo le lucine sui ponti, e pensavamo che ogni lucina era una persona. Per me era diventato normale vederla, ma oggi è diverso, oggi sembra una rinascita». Non è nostalgia, ma perdere l'orrore significa riporlo nei sogni e quindi riviverlo da soli: abbattuto, o bruciato, o in questo caso, che semplicemente va via, torna al mare.

Gli abitanti di quest'isola invasa da giornalisti, sommozzatori, pompieri, poliziotti, detestano chi viene qui per guardare. Chi arriva al Giglio solo «per vedere la nave e non l'isola». La odiano, questa nave. Ma la nave è entrata nei disegni dei bambini, nelle foto che anche oggi le mamme scattano ai piccoli delle squadre dei «rossi» e degli «arancioni», che si sfidano sul campetto di calcio proprio di fronte al relitto.

I turisti continuano a rivolgere gli obbiettivi alla grande conchiglia emersa completamente dall'acqua come se ci fosse un gusto estremo, ma molto comprensibile, nel suggellare un oggetto che testimonia il confine tra la vita e la morte prima che scompaia per sempre. Come toccare le ali di un diavolo con le dita tenendolo lontano. E a guardarla dal porto, la conchiglia-sirena-Grande Intrusa, da oggi completamente riportata alla luce, ha in effetti lo stesso effetto sul paesaggio dello sfregio anomalo su un viso deformato da una ferita terribile, qualcosa che non deve essere lì, che stride agli occhi, ma che ha una sua forma di misteriosa intensità e di inquietante bellezza.

Nel punto del molo più vicino alla Concordia pesca uno dei medici dell'isola. Anche lui, per la prima volta in due anni, l'ha fotografata, la Concordia. «L'ho fatto perché adesso è come un 25 aprile. Siamo liberi. Ma è vero anche che tutte le mattine ti svegliavi e vedevi davanti agli occhi che cosa produce l'errore umano, che cosa succede se non stai attento nel tuo lavoro». I Grandi Intrusi creano consapevolezza di un orrore, sono il ricordo vivo della sofferenza. Ma consolidano anche l'identità del luogo che sfregiano: «La nave ha creato una comunità, qui al Giglio, quantomeno quando ci fu la grande accoglienza i primi giorni».

Il bar che si affaccia sulla piccola spiaggia di fronte alla Concordia si chiama Demino.

Tra poche ore lo sguardo da qui potrà correre all'orizzonte, alla costa di fronte: «Non ce lo ricordiamo nemmeno più, com'è», dice Vincente, il proprietario. Il mare, solo il mare negli occhi. Da domani, senza la sua dolorosa conchiglia.

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