Inneschi incendiari nella tenuta presidenziale di Castelporziano. E la Procura di Roma apre un'inchiesta per incendio doloso. Ancora una volta in fiamme la Riserva naturale del litorale romano, residenza estiva del presidente della Repubblica. Sono passate le 6 di ieri mattina quando qualcuno avvista le prime colonne di fumo alzarsi al di là del muro di cinta dell'area, lungo via di Pratica di Mare. La tenuta di Capocotta, oltre 6mila ettari di macchia mediterranea che ospita la villa presidenziale, è in fiamme. L'allarme viene lanciato dai residenti e dai primi romani che dalla via Pontina cercano di raggiungere la spiaggia di Torvaianica. Immediato l'intervento del distaccamento dei vigili del fuoco di Pomezia e della sorveglianza interna. Tra i rifiuti in fiamme lungo il muro di cinta e inneschi gettati oltre il muraglione che circonda la tenuta, le fiamme avanzano favorite dal vento. Nell'arco della mattinata l'area viene circoscritta e le fiamme domate. «Abbiamo bonificato la zona interessata dal rogo», spiegano le guardie forestali intervenute assieme ai vigili del fuoco. Fra i pini secolari le armi lanciate dai piromani: inneschi artigianali preparati ad arte per far scoppiare l'inferno. E il presidente Mattarella ribadisce la sua condanna per gli atti di criminalità che colpiscono la comunità civile. «Ringrazio i cittadini che hanno segnalato l'incendio - afferma il capo dello Stato - e le squadre di soccorso dei vigili del fuoco. Grazie al loro intervento tempestivo sono state evitate gravissime conseguenze».
In Procura si attende l'informativa dei carabinieri forestali per aprire il fascicolo d'indagine. Non è la prima volta, purtroppo, che la riserva naturale più estesa e tutelata del centro Italia finisce in cenere. È il 4 luglio del 2000 quando Castelfusano e Castelporziano vengono date alle fiamme. Complici un forte vento di scirocco e temperature che superano i 35 gradi: in pochi minuti il fronte del fuoco dal muro di cinta della tenuta presidenziale, lato Casalpalocco, supera la Cristoforo Colombo arrivando a lambire il Tevere e il parco archeologico di Ostia Antica. Muoiono divorati dalle fiamme migliaia di animali selvatici. Le scuderie di un circolo ippico con decine di cavalli vengono rase al suolo, le fiamme avvolgono l'ufficio giardini del Comune di Roma con un allevamento di setter. Intere famiglie sono tratte in salvo dai carabinieri. Una catastrofe: in meno di 24 ore finiscono in cenere 1200 ettari tra Castelfusano e Castelporziano. I piromani lasciano sul posto decine di tracce del loro passaggio, tanto che gli inquirenti parlano di un preciso disegno per annientare il polmone verde della capitale. Tubi artigianali per lanciare da distanza le bombe incendiarie, nastri colorati legati agli alberi per trovare rapidamente la via di fuga, inneschi con diavolina e rami secchi.
A più di vent'anni di distanza, nonostante una sala operativa realizzata all'indomani del maxi-incendio, i piromani ci riprovano. «Sono mesi che chiediamo alla giunta un'azione forte - dice Davide Bordoni, consigliere capitolino della Lega -. Niente».
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