Figli, gay e nozze Quei desideri spacciati per diritti

La vicenda è molto istruttiva, scriverebbe Giovannino Guareschi. Ed ha aspetti drammatici per chi la vive, genitore 1, genitore 2 e per la bambina. Piccola comunità dell'Ohio, Stati Uniti d'America. Due giovani donne si amano, convivono, e decidono di avere un figlio. Si affidano a un istituto che provvede all'inseminazione in provetta di una delle due signore, bionda, che sarà la mamma. Nel contratto è previsto che le sia fornito un seme tale da concepire un essere umano di razza caucasica (in America non si dice bianco, ma caucasico) con gli occhi azzurri.

Invece, si scoprirà poi che qualcosa non ha funzionato. Nasce una piccola dai capelli ricci e corvini: insomma, soprattutto è una bambina dalla pelle caffelatte. Non la volevano così (...)

(...) i due genitori. La volevano bianco latte, senza caffè. Chi ha versato il caffè (che poi sarebbe il padre) ha sbagliato tazzina. La coppia vuol bene alla bambina, cui danno il nome di Payton, dalle foto lo si percepisce. Ma è furibonda lo stesso. Vuole il risarcimento. Il fornitore non ha rispettato il contratto, e soprattutto, come dire, non essendo bianca, non è di serie A, non va bene, crea problemi di discriminazione alla famigliola.

Il giudice è propenso a dare ragione sul punto uno alla coppia: un contratto è un contratto. Chi sbaglia paga. Ma sul secondo punto boccia seccamente la richiesta: la legge locale prevede il risarcimento se nasce un piccino malato, e fino a prova contraria il colore della pelle, salvo i casi di itterizia, non è una malattia. Illustri giuristi stanno spaccando il capello in quattro, anche in Italia, per spiegare che la storia è complicata, il razzismo nelle due genitrici lesbiche è escluso, ma di certo il problema è che l'America verso i neri è ancora razzista eccetera. In buona sostanza, si cerca di mettere le mani avanti per far tacere il pensiero più semplice che viene: e cioè che l'errore non sta nella culla e nel colore della bimba che dorme sonni angelici, ma nel manico, da intendersi non nel senso malizioso che state pensando.

Pongo la questione in altro modo. Il nostro è un mondo in cui si è eretto a diritto il desiderio dell'individuo. Siamo entrati nell'epoca più sentimentale della storia. L'affetto e l'attrazione sessuale per una persona dello stesso sesso non solo - ed è giusto, ci mancherebbe - non può essere causa di discriminazione, ma deve essere riconosciuto, qualora i due lo vogliano, come matrimonio. E siamo al diritto n. 1. Non potendo costoro per ragioni per il momento insuperabili avere figli, ecco che il loro desiderio si trasforma in diritto. E siamo al diritto n. 2. La coppia desidera poter avere un bambino con gli occhi azzurri e la pelle bianca, oltre che sano. E siamo al diritto n. 3. Cos'è che non va in questa filiera di diritti? C'è qualche salto per cui il numero 3 funziona meno? Perché dare ragione alla coppia sui primi due e non sull'ultimo? Ovvio perché: perché è politicamente scorretto. Non si devono discriminare i neri. Ed ecco allora i professoroni attorcigliarsi per spiegare che le due lesbiche non discriminano i neri, ma è l'America, che fa sì che essere neri sia un problema e dunque il risarcimento ci sta.

Mamma mia. In realtà tutto questo rende palese una verità drammatica. Quando si prende la china del diritto assoluto del desiderio, si lancia in orbita l'onnipotenza del singolo, a cui tutto si deve piegare. Il mio pensiero è molto semplice. Gli uomini desiderano la felicità.

È connaturata all'uomo questa tensione meravigliosa e dolorosa. La ricerca della felicità è un diritto, e ciascuno fa come può. Ma contraddire il dato di natura, pretendere che lo Stato trasformare in uguale quello che uguale non è, alla fine crea un mondo persino più brutto.

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