Silvana Condemi è una delle più importanti paleontropologhe europee, ed è direttrice di ricerca al CNR Presso l'università di Aix-Marxeille, in Francia. Assieme a François Savater ha scritto il saggio Noi siamo sapiens. Alla ricerca delle nostre origini (Bollati Boringhieri, pagg. 144, euro 18) appena pubblicato in Italia e presentato al Festival della scienza di Genova. Le abbiamo chiesto di spiegarci perché l'homo sapiens (noi) è una creatura così speciale.
L'Homo sapiens è il frutto di una «corsa evolutiva». Quali sono le tracce di questa corsa nel nostro corpo?
«La più importante è senza dubbio, il bipedismo che ha provocato le modifiche anatomiche di quasi tutte le ossa del corpo, per esempio il piede, la posizione del femore; il bacino che si allarga per fare da ricettacolo per le viscere, la colonna vertebrale con le sue concavità e la sua posizione particolare per la testa. Il foramine occipitale si trova alla base del cranio e non dietro di esso. La bipedia ha liberato la mano dalla locomozione ed questo ha avuto delle grande ripercussioni siamo diventati Homo faber, vale a dire capaci di fabbricare degli strumenti».
Cosa significa che l'evoluzione degli hominina è una evoluzione a cespuglio?
«Vuole dire che l'evoluzione umana non è lineare, bisogna abbandonare l'immagine di un albero con dei rami che corrispondono a delle specie. Gli studi mostrano che in uno stesso periodo hanno vissuto diverse specie e da questo cespuglio di specie ce ne è una che si sviluppa per dare origine al nostro ceppo. E quello che è successo con le varie specie di Australopitechi, molte erano contemporanee ed È da una di queste specie che si è differenziato il genere Homo».
Come si legano tra loro stazione eretta, uso della mano e sviluppo cerebrale?
«La bipedia ha liberato la mano dalla locomozione ed ha permesso alla a mano di diventare una autentica macchina-utensile programmabile. La nostra mano ultramobile ci trasforma in una sorta di macchina-utensile intelligente, che si programma quasi istantaneamente in funzione delle informazioni raccolte dai tanti sensori di cui è dotata. Proprio grazie a questi microsensori, la mano è anche un organo d'informazione e di comunicazione. La forte presenza di terminazioni nervose, soprattutto sul palmo e sulla punta delle dita più di 17mila fa sì che il nostro tocco sia modulato dalla sensibilità, e infatti è con la mano che entriamo in contatto con il mondo. Senza che ce ne rendiamo conto, ci fornisce ogni giorno migliaia di informazioni. La mano rispecchia anche l'estensione stupefacente della nostra capacità cognitiva. C'è proprio una relazione tra mano e sviluppo cerebrale».
La caccia come ha condizionato la nostra evoluzione?
«Tutti i paleontologi concordano nel dire che l'introduzione delle proteine animali nel regime alimentare umano e poi l'aumento del consumo di carne hanno avuto un ruolo cruciale nell'evoluzione del nostro cervello. Da sola, la carne fornisce energia sotto forma di proteine e grasso, più tutti i minerali e quasi tutte le vitamine di cui il corpo umano ha bisogno. I reperti archeologici indicano che nel corso del tempo i cacciatori-raccoglitori hanno cercato di procurarsi quanta più carne energetica possibile, vale a dire carne grassa. Malgrado gli enormi rischi, si sono ostinati ad abbattere degli animali grassi imponenti, come mammut, bovidi grandi e piccoli, rinoceronti, foche, balene, etc. E quando hanno cominciato ad addomesticare gli animali da carne, si sono concentrati innanzitutto su animali grassi come i suini, i bovini, i caprini, prima di interessarsi agli uccelli, i cavalli...»
Perché come scrive nel libro la cultura è un catalizzatore dell'evoluzione nel caso degli hominina?
«A nostro parere è la cultura che può spiegare l'unicità del Sapiens. La cultura (fabbricare degli strumenti, controllare il fuoco, il linguaggio articolato, l'empatia...) e la cooperazione sociale (attività collettive di caccia, di strutturazione della sociétà, di creazione...)».
Perché il sapiens si è riprodotto così in fretta colonizzando così tanti ambienti?
«La tesi che difendo in Noi siamo Sapiens è che questa capacità di crescita ha un'origine sociale: Sapiens investe più di tutte le altre specie nella sua discendenza. Il piccolo Sapiens cresce lentamente ed ha quindi più tempo per imparare. E questo tempo non ha smesso di allungarsi, era già in Neanderthal più lungo che in Homo ergater, ma anche in Sapiens via via che è aumentata la speranza di vita e la complessità culturale della società.
Oggi, constatiamo che il cervello termina la sua crescita verso i 25 anni, mentre il periodo di apprendimento può durare fino a 30 anni, o oltre. Insomma, a nostro parere, non sono stati gli sviluppi biologici a creare la singolare storia evolutiva sapiens bensì la sua complessità sociale e culturale».
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