Genio, classe e "divisa". Addio al Kaiser della moda

Nel '68 ha rivoluzionato le pellicce per Fendi, poi Chanel. Diceva che il vero lusso è l'intelligenza

Genio, classe e "divisa". Addio al Kaiser della moda

A 4 anni ha chiesto a sua madre «un velluto personale» e lei glielo diede. Deve essere questa la vera data di nascita del cosiddetto Kaiser della moda, perché su quella ufficiale dell'uomo chiamato Karl Otto Lagerfeld la confusione regna sovrana. Lui stesso diceva a volte 1935 altre volte '33, mentre qualcuno nell'ambiente sostiene 1930. In ogni caso aveva compiuto da tempo gli 80 anni quando ieri mattina ha chiuso per sempre gli occhi in una stanza del celebre Hôpital Américain di Parigi. Ed era comunque troppo presto: il mondo intero (non solo quello della moda) ha perso un genio irripetibile. Ricco e famoso come pochi amava dire: «Il vero lusso? L'intelligenza». Non è poco in un ambiente dove basta essere un cretino velocissimo per aver successo. In mezzo a tutto nessuno era più veloce di lui: capace di disegnare fino a 20 collezioni l'anno, fotografo, vorace collezionista e lettore, perfino proprietario di una raffinata libreria d'arte al 7 di rue de Lille. Monsieur Lagerfeld nasce ad Amburgo il 10 settembre di uno degli anni Trenta in una famiglia molto agiata. Suo padre Otto aveva un'industria casearia mentre sua madre Elizabeth Bahlmann era una donna tutta d'un pezzo e ossessionata dalla cultura che fin dalla più tenera età lo costringeva a memorizzare tutti i giorni una pagina di dizionario. Fu però lei ad accompagnarlo a Parigi dove nel 1954 vince il prestigioso Woolmark Prize ex aequo con Yves Saint Laurent. Comincia così un profondo rapporto di amicizia e rispetto tra i due che rischia di naufragare miseramente per colpa di Jacques de Bascher, un uomo bellissimo e molto promiscuo che intreccia una relazione con entrambi. Lagerfeld lo descrive come «un diavolo con il volto di Greta Garbo» e lo mantiene per 17 anni fino alla morte per Aids nel 1987. Saint Laurent risponde girando uno scandaloso cortometraggio in cui una pillola di chissà quale sostanza passa dalla bocca del giovanotto alla sua durante un bacio alla francese. Pierre Bergè che del grande Yves è socio e mentore da sempre, se la prende con il povero Karl che a differenza del collega francese si dedica soprattutto al lavoro. Dopo un esordio da Balmain, si occupa per cinque anni dell'alta moda di Jean Patou. Impara tutti i trucchi del mestiere, ma è un uomo di rara preveggenza e modernità per cui decide di aprire uno studio di consulenza come designer free lance per grandi marchi. Il suo primo cliente nel 1965 è Chloè. Ci resterà fino al 1978 tornando sui suoi passi dal '92 al '97: il quinquennio in cui viene incoronato «Kaiser della Moda». Infatti nel 1968 firma un contratto a vita come direttore creativo di Fendi e cambia il volto delle pellicce, una cosa mai vista prima. Nel '74 fonda il suo marchio che dal 2005 cederà a Tommy Hilfiger rimanendo comunque a capo dell'ufficio stile. Il secondo contratto a vita arriva nel 1983, stavolta con Chanel che nelle sue capaci mani diventa l'equivalente modaiolo della Campbell Soup di Andy Warhol: un'opera d'arte pop. «A Mademoiselle non piacerebbe quel che faccio» amava dire pur sapendo benissimo che Coco avrebbe adorato il successo pazzesco del brand e le sue incredibili capriole di stile. Lui per altro sa molto bene di essere un caso più unico che raro: «Mi chiamo Lagerfeld sono un marchio itinerante» risponde a chi lo accusa di firmare troppe cose: la prima collezione d'autore per H&M, una bottiglia di Coca Cola, una di champagne, calendari, campagne pubblicitarie, libri d'arte, servizi fotografici e perfino la scenografia del Ballo della Rosa a Montecarlo per la sua amica Caroline. Trovava giustamente noioso il politically correct e ne aveva per tutti specialmente per le persone in sovrappeso da quando nel 2001 aveva perso 43 chili in 13 mesi di dieta. Ha bacchettato nell'ordine Adele e Frau Merkel per poi prendersela con la moda dei tatuaggi.

«Li trovo orribili ha detto - è come vivere tutto il tempo in un abito di Pucci». In un mondo cattivissimo ma che finge di giocare a tennis con i bignè per non colpire le palline, uno che aveva il coraggio delle sue opinioni mancherà moltissimo.

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