Berlino La Corte costituzionale della Germania ha cassato come incompatibile con la Legge fondamentale tedesca il provvedimento votato dal Bundestag per vietare il suicidio assistito. La sentenza di Karlsruhe ha fatto a pezzi una legge approvata dalla (precedente) maggioranza di grande coalizione nel novembre del 2015 dopo oltre un anno di dibattito. Prima di allora, la Repubblica federale non aveva alcuna legge in materia, per cui il suicidio assistito era di fatto ammesso. Sia quello indiretto, in cui il paziente assume dosi letali di antidolorifici sotto controllo medico; sia quello passivo, in cui il paziente nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali rifiuti un trattamento salva vita. I giudici costituzionali hanno stabilito che la legge più restrittiva del 2015 privava i pazienti terminali del diritto di autodeterminare la propria morte. Un diritto che, secondo il giudice Andreas Vosskuhle, include «la libertà di togliersi la vita e di chiedere aiuto per farlo». Principi ritenuti superiori al divieto di fornire «sostegno commerciale al suicidio», un reato punito fino a ieri con una pena detentiva fino a tre anni.
Se il suicidio assistito è una materia generalmente considerata molto delicata, per motivi storici in Germania assume una valenza del tutto particolare. Spacciandolo come programma di eutanasia passato alla storia come Aktion T4 il regime nazista uccise oltre 200mila persone, in una prova generale dello sterminio di ebrei, rom e omosessuali. Le legge del 2015 era nata anche per segnare una rottura ufficiale con quel periodo. Per lo stesso motivo, il giudice Vosskuhle ha spiegato che la sentenza della corte non fa nascere alcun diritto alla morte assistita né obbliga alcun medico a fornire assistenza contro le proprie convinzioni a un paziente che voglia suicidarsi. Consapevole che la pronuncia della Corte provoca un vuoto legislativo, il giudice ha ricordato che il legislatore ha disposizione «un ampio spettro di opzioni» per regolamentare il suicidio assistito. E che l'assistenza non dovrebbe dipendere dal fatto che si tratti di un paziente terminale affetto da un male incurabile. Il diritto di avere voce in capitolo sulla propria morte, insomma, deve esistere in ogni fase della vita di una persona. «Forse ci rammaricheremo della loro decisione, e forse possiamo tentare di fargli cambiare idea, ma in ultima analisi dobbiamo accettare la loro decisione liberamente presa», ha affermato Vosskuhle. Non sono mancate le critiche: in una nota congiunta, la Conferenza episcopale tedesca e il Consiglio della Chiesa evangelica, hanno definito la sentenza «un taglio netto con la nostra cultura orientata all'affermazione e alla promozione della vita». Le chiese hanno auspicato che «le offerte di suicidio non diventino la normalità». La corte era stata adita da un uomo al quale le autorità avevano negato il diritto di aiutare la moglie gravemente malata di assumere medicinali che avrebbero provocato la sua morte.
Morte che la donna trovò in una clinica in Svizzera. «ll diritto alla vita non è l'obbligo alla vita», aveva argomentato il vedovo. I tedeschi sono anche primi per numeri di viaggi della morte nella vicina Confederazione elvetica (oltre 1.300 l'anno secondo Statista).
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