Appena 50 centesimi lordi in più al mese, che netti diventano 40. All'anno poco più di 6 euro per 2,5 milioni di pensionati con un reddito lordo mensile tra 1.500 e 2.000 euro (per la precisione da 1.522 a 2.030 euro lordi). È questo il peso della mini-rivalutazione (dal 97 al 100% dell'indicizzazione per i trattamenti tra 3 e 4 volte il minimo) sul quale sta lavorando il governo in vista della prossima legge di Bilancio. I calcoli sono stati effettuati dalla Spi-Cgil che non ha celato il proprio disappunto. «Sono cifre irrisorie che non avranno alcun impatto significativo sui redditi da pensione», ha dichiarato il segretario generale del sindacato dei pensionati Cgil, Ivan Pedretti, aggiungendo che «si tratta praticamente di mezzo caffè al mese; messa così è una presa in giro». La manifestazione sulle pensioni indetta per il 16 novembre è il mezzo con il quale si vuole costringere Palazzo Chigi a trattare. «Al governo non abbiamo chiesto la luna - ha proseguito Pedretti - perché sappiamo in che condizioni versa il paese, ma dopo anni di tagli alle pensioni quello che ci propongono è offensivo e non risolve i problemi». Vista l'esiguità degli importi, inoltre, non è da escludere il solito caos (giustificato) all'Inps, costretta poi a recuperare o a ricalcolare (meno sovente) gli importi erogati.
Non è sicuramente questo il piatto forte del capitolo previdenziale che è stato al centro dei vertici di maggioranza. I renziani hanno tentato l'assalto a quota 100 fallendolo. L'obiettivo era mettere le mani sugli 8,8 miliardi lordi di stanziamento (5,5 miliardi al netto delle uscite minori rispetto al preventivato) in modo da «redistribuirli» tra gli altri provvedimenti di spesa incluso il rifinanziamento dell'Ape social, ossia l'uscita anticipata (finanziata dallo Stato) per i lavoratori con 63 anni di anzianità e 20 di contributi che abbiano svolto lavori gravosi o che siano incappati in crisi aziendali.
Il blitz è fallito per l'opposizione di Luigi Di Maio, spalleggiato dal premier Conte, ma questo non vuol dire che la legge Fornero sia qualcosa da considerare definitivamente sorpassato. In primo luogo, perché come ha detto lo stesso presidente del Consiglio ieri, «quota 100 resta ma stiamo rivedendo la misura» sebbene niente sia stato ancora deciso sulle finestre di uscita. Insomma, resta in piedi la possibilità di estendere il periodo transitorio per accedere alla pensione con il nuovo strumento che attualmente è a 3 mesi per i dipendenti privati e a 6 mesi per quelli pubblici. Nei giorni scorsi era circolata l'ipotesi di un allungamento di altri tre mesi in modo da risparmiare a regime un miliardo di euro all'anno. L'eliminazione di quota 100, ha ricordato il presidente del Centro studi Itinerari previdenziali Alberto Brambilla, creerebbe «nuovi esodati» in quanto molte aziende si sono già regolate per il ricambio generazionale in base a questa previsione.
In secondo luogo, c'è un altro problema.
La legge Fornero è ancora in vigore (seppur con il blocco del requisito anagrafico a 66 anni e 7 mesi fino al 2021), ma dal primo gennaio 2022, senza nuove previsioni normative, scatteranno gli adeguamenti congelati a inizio anno e si potrà andare in pensione a 67 anni e 2 mesi. Dopo la manovra «riunirò intorno a un tavolo le parti sociali per discutere una riforma complessiva del sistema pensionistico», ha detto il ministro del Lavoro Catalfo. Il countdown è già partito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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