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I partiti esultano: addio alla Bonafede. Ma Letta finisce sotto accusa per l'aiuto al M5s

Alla fine, grazie anche a un assai servizievole Pd che si allinea ai Cinque stelle, la riforma Cartabia perde qualche piccolo pezzo e i processi per alcuni reati tornano (sulla carta) ad allungarsi.

I partiti esultano: addio alla Bonafede. Ma Letta finisce sotto accusa per l'aiuto al M5s

Alla fine, grazie anche a un assai servizievole Pd che si allinea ai Cinque stelle, la riforma Cartabia perde qualche piccolo pezzo e i processi per alcuni reati tornano (sulla carta) ad allungarsi.

«Ci sono stati alcuni aggiustamenti - spiega la Guardasigilli - con una norma transitoria che fa arrivare con gradualità ai termini che dati, e che rimangono fissi; e con un regime particolare per reati di allarme sociale come mafia e terrorismo». Grazie a questo ennesimo correttivo, puramente estetico, «tutti i partiti di maggioranza ritireranno gli emendamenti», il testo andrà alla Camera domenica e verrà approvato con la fiducia.

È il risultato (sia pur solo di facciata) che Conte, Toninelli e Bonafede imploravano di poter sventolare, per piegarsi e dare via libera ad un testo che comunque cancella la incivile controriforma della prescrizione varata dal precedente governo «Il match si è concluso, M5s lo ha perso e la Bonafede va al macero», sottolineano Iv, mentre Renzi infierisce: «Il caro estinto è la Bonafede, da stasera non c'è più». Dopo una giornata di impazzimento dei grillini e della maggioranza, che ha bloccato per ore e ore il Consiglio dei ministri con i membri 5S che minacciavano di astenersi, la notizia dell'accordo è arrivata a sera: «Voto unanime in Cdm», esulta il ministro 5Stelle D'Incà, dimentico che era stato unanime anche il voto (compreso il suo) sul testo originario della riforma e anche quello sulla fiducia al medesimo testo.

«A mettere in difficoltà Draghi e Cartabia e a rallentare la riforma è stata», sbotta un esponente di governo del Pd, «la scelta politicamente sbagliata di Enrico Letta di dare sponda a Conte, per tentare di rafforzarne la tentennante leadership sul partito, chiedendo di cambiare ulteriormente un testo già chiuso, col sì dei grillini, e già frutto di una estenuante mediazione». Così i dem, anziché assumere il ruolo di forza centrale a sostegno delle riforme Draghi, hanno riaperto il vaso di Pandora di una trattativa dilatoria, mettendosi a rimorchio del forcaiolismo grillino e offrendo anche a Lega e Forza Italia l'alibi per chiedere nuovi cambiamenti e per intestarsi, come ha rapidamente fatto Matteo Salvini, il ruolo di mediatori. Anche se a sera i dem provano a rubargli il palco, facendo trapelare che sarebbero stati i ministri del Lavoro Orlando e della Cultura Franceschini, insieme al titolare dalemiano della Sanità Speranza, a intessere il papocchio che doveva tener buoni Conte e Bonafede, e costringerli ad ingoiare l'addio al loro totem del «fine processo mai».

La riapertura della trattativa, avallata dal Nazareno, ha però comportato il rischio di mandare in tilt la maggioranza e di far saltare tutti i tempi (vero obiettivo originario dei Cinque stelle) di una riforma essenziale, anche perché ad essa sono legati i fondi del Pnrr. «Credo che Letta, mosso dall'urgenza di salvaguardare l'alleanza politica con i grillini, non avesse capito i pericoli di una simile mossa», aggiunge l'importante dirigente dem. Ma c'è un altro fattore di non poco conto, secondo quanto sussurra più d'uno nella maggioranza e nello stesso Pd, che ha agevolato lo smussamento ulteriore della riforma della giustizia: la grandissima cautela con cui il Colle, allarmato dalla chiassosa rivolta dei pm d'assalto e dello stesso Csm in difesa dello status quo, si è pronunciato sul tema.

Alla fine della partita, comunque, i Cinque stelle provano a cantare vittoria ma hanno le mani legate: dovranno votare il testo che seppellisce la legge Bonafede, e sconteranno nel voto la dissociazione degli irriducibili, consapevoli che si tratti di una sconfitta. «Lo scontro - nota il presidente delle Camere Penali Giandomenico Caiazza - si è consumato attorno a norme di puro carattere simbolico: tutti sanno che i processi per mafia sono gli unici che si chiudono rapidamente». Per la ministra di Fi Gelmini «l'enorme fatica di M5s a dire sì è la dimostrazione che si tratta di una riforma garantista». I 5Stelle «sono a lutto per Bonafede, altro che vittoria», chiosano dalla Lega. «Il fine pena mai grillino è archiviato, con il voto favorevole di M5s», dice Enrico Costa di Azione.

E anche il dem Andrea Orlando sottolinea: «Abbiamo superato l'irragionevole riforma Bonafede».

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