Incendio in una fabbrica militare russa. L'ombra di boicottaggi e cyberattacchi

Nuovo incidente: un impianto che produce visori notturni per i soldati è andato a fuoco. L'ipotesi di un'attività hacker

Incendio in una fabbrica militare russa. L'ombra di boicottaggi e cyberattacchi

Un incendio di vaste proporzioni è scoppiato in una fabbrica nella cittadina di Sergiev Posad, 70 km a nord di Mosca. Lo riferiscono i media russi. Secondo alcuni residenti, si tratterebbe dell'impianto della Zagorsk Optical-Mechanical Plant (Zomz) attiva nella produzione di ottica per i militari, come i visori notturni a infrarossi. Secondo le fonti, le fiamme divampano su circa 700 mq, decine i vigili del fuoco impegnati sul posto. Secondo residenti sarebbe collegato a produzione bellica.

Una coincidenza o piuttosto un obiettivo colpito?

A maggio, in due settimane, erano andati a fuoco siti strategici e simbolici di Mosca. Cinque persone erano morte, inclusi due bambini, in una serie di incendi scoppiati in Russia nella zona di Krasnoyarsk, terza più grande città siberiana, centro industriale e importante snodo della Ferrovia Transiberiana.

Secondo la protezione civile, il fuoco era divampato a causa di «cortocircuiti dovuti a cavi invertiti e al crollo di una linea elettrica provocato da forti venti», ma il servizio meteo internazionale Timeandate riporta nella zona dei roghi venti dai 4 ai 13 chilometri orari che, stando alle tabelle internazionali, indicava vento meno che moderato. Un particolare, quello della spiegazione delle autorità russe, che addensa le nubi del sospetto sulla reale causa degli incendi che si sono verificati nella Federazione da aprile. Certo, la Russia è la nazione più grande del mondo con la sua superficie di oltre 17,1 milioni di chilometri quadrati e statisticamente non sarebbe strano se un certo numero di incendi scoppiassero in diversi punti del Paese in un periodo abbastanza limitato. Ma ciò che colpisce è la natura dei luoghi andati in fumo: posti strategici, oltre che simbolici.

Siti che inducono a immaginare che si tratti più di obiettivi che di casualità. Inoltre, provocare un incendio a distanza con i sistemi antincendio collegati a un computer per un hacker è un gioco da ragazzi, dicono gli esperti: un pirata della rete ci mette poco a introdursi nel sistema web e a scatenare un corto circuito. Per esempio nel sistema di riscaldamento, semplicemente alzando oltre i livelli di guardia la temperatura delle caldaie. E del resto anche fonti vicine al Cremlino nei giorni scorsi non hanno escluso questa ipotesi. Ovviamente nessuno si è spinto a dichiarare apertamente che gli incendi potrebbero esser riconducibili alla cyberguerra di Kiev, ma non è sfuggito agli osservatori che ad ogni rogo le immagini siano state mostrate innumerevoli volte dai canali social ucraini. Le tappe del fuoco sono partite il 21 aprile da Tver, le fiamme si sono sviluppate nell'Istituto centrale di ricerca delle forze di difesa aerospaziali della città, considerata la Cape Canaveral russa, che si occupa anche dei sistemi di lancio e difesa missilistica. Altro rogo di ampie dimensioni nel più grande impianto chimico di solventi russo nella città di Kineshma, 400 kilometri dalla capitale.

Il primo maggio nuovo incendio nello stabilimento di Perm, negli Urali centrali, dove si produce la polvere da sparo per armamenti compresi i sistemi lanciamissili Grad e Smerch. Il 3 maggio è stato avvolto dalle fiamme un magazzino di 33.800 metri quadrati che, secondo il media di opposizione bielorusso Nexta, sarebbe un deposito della casa editrice pro-Cremlino Prosveshchenie.

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