La "lady Jihad" italiana e i legami con la rete albanese

Il viaggio verso il terrore: Fatima e il marito aiutati dai connazionali di lui ad arrivare in Siria e nel Califfato

La "lady Jihad" italiana e i legami con la rete albanese

La prima «lady Jihad» italiana ha utilizzato una filiera albanese per raggiungere la Siria assieme ad A. K., il marito originario del paese delle aquile. Fonti del Giornale in Albania fanno sapere che «la coppia ha aderito al Califfato in Siria». Maria Giulia Sergio convertita in Fatima Az Zahra nasce a Torre del Greco 27 anni fa. Si trasferisce ad Inzago, in provincia di Milano con padre, madre e sorella, che diventano tutti musulmani. Prima sposa un marocchino e poi sceglie A. K., albanese più votato all'islam radicale. Con lui si sposta nel Grossetano, dove risulta l'ultimo domicilio noto in un piccolo centro con una forte comunità albanese e fino a poco tempo fa residenza di un capoccia religioso.

«La presenza di consolidati network di reclutatori albanesi su territorio italiano era noto: reti attive in svariate regioni d'Italia tra cui la Lombardia, Lazio, Liguria e Toscana» sottolinea Giovanni Giacalone, esperto di radicalismo islamico nei Balcani.

Nel settembre dello scorso anno Fatima, aspirante jihadista italiana, va a Roma e acquista un biglietto aereo per la Turchia. Il sospetto dell'intelligence è che abbia utilizzato, grazie al marito, la rete dei volontari della guerra santa che partono dall'Albania. Gent Pahsaj è un imam del paese delle aquile, che vive in Turchia ed è indagato per aver favorito il passaggio dei combattenti in Siria.

I centri di reclutamento dei circa 140 jihadisti albanesi contro il regime di Damasco sarebbero soprattutto Cerrik e Librazhd nel centro dell'Albania. «L'italiana convertita Fatima e suo marito avrebbero usato questa filiera per raggiungere il Califfato» spiega la fonte albanese. O quello che ne restava in Turchia. L'11 marzo scorso l'antiterrorismo di Tirana ha arrestato sette sospetti, compresi due imam, per i sermoni sulla guerra santa ed il reclutamento di combattenti per la Siria. L'operazione è avvenuta nella capitale, Elbasani, Pogradec e Librazhd, uno dei centri della filiera che avrebbe portato la prima lady Jihad italiana fra le braccia dello Stato islamico. L'altra cittadina sospetta è Cerrik, dove fin dagli anni Novanta era stata impiantata la scuola coranica El Faruk, poi fatta chiudere. I sauditi hanno finanziato in seguito l'università «El Hagri» e l'invio di studenti albanesi nel Golfo grazie al movimento salafita. A Cerrik giunsero anche dei «missionari» islamici sudanesi. Il sospetto è che attraverso un'organizzazione caritatevole musulmana siano arrivati pure dei soldi da Ayman Al Zawahiri, oggi capo di Al Qaida.

Lo scorso anno, secondo uno studio del King's college di Londra sulla radicalizzazione, c'erano 140 combattenti albanesi in Siria, altri 150 provenienti dal Kosovo ed una ventina della stessa etnia dalla Macedonia. Ed il flusso continua grazie all'effetto calamita del Califfato.

Secondo Giacalone

«alcuni villaggi dell'Albania centrale sono da tempo diventati luogo di sosta e passaggio per estremisti che arrivano nel paese dall'Italia e dal Kosovo, per dirigersi in Turchia e poi in Siria».

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