In attesa dell'avvio della procedura d'infrazione contro l'Italia, la bocciatura della manovra da parte della Commissione Ue segna il punto di maggior attrito tra Bruxelles e Roma. Ma l'Istat, nella nota sulle «Prospettive economiche 2018-2019», sembra invitare il governo a non peccare di miopia: continuando a puntare il dito solo contro gli euroburocrati, il rischio è quello di trascurare quelli che sono i potenziali nemici per la crescita del Paese. Nell'elenco, l'Istituto di statistica ci mette il rallentamento del commercio mondiale, le decisioni della Bce, il peso di un eventuale peggioramento delle condizioni di finanziamento con ricadute sugli investimenti. Ma anche un impatto minore del reddito di cittadinanza, a causa dell'eventuale maggior propensione al risparmio e dell'aumento dell'inflazione. In sostanza, la previsione dell'Istat di un'espansione del Pil 2019 dell'1,3% (dopo il +1,1% di quest'anno), e quindi già al di sotto dell'1,5% governativo, potrebbe rivelarsi ottimistica. Soprattutto se lo spread rimane surriscaldato.
Ieri il differenziale di rendimento tra i Btp e il Bund tedesco è sceso ieri a 311 punti dai 327 di martedì, a segnalare quanto i mercati avessero già metabolizzato il pollice verso dell'Europa nei confronti dell'Italia, come peraltro confermato anche dal rialzo dell'1,4% della Borsa. Il quadro di fondo, però, non cambia. Non è un caso che sullo spread sia ieri intervenuto Ennio Doris, patron del gruppo Mediolanum, profondo conoscitore dei mercati e dei meccanismi bancari. «Fino ai 300 punti di spread l'effetto non si sente moltissimo, ma se durasse nel tempo si sentirà - dice Doris - perché si traduce in un incremento dei costi per l'economia. Questo dato prima o poi si trasferisce al costo del denaro per le imprese italiane e le banche dovranno reagire. È una situazione che preoccupa, dunque, perchè ha delle conseguenze negative sull'economia». Doris ha poi aggiunto che «come presidente di Banca Mediolanum la cosa mi scivola via: noi abbiamo l'indice di solidità più alto tra gli istituti italiani. Ma non posso restare indifferente perché, se i miei colleghi hanno problemi non è una buona cosa».
D'altra parte, tornando all'Istat, in un momento di crisi finanziaria, l'aumento dello spread può riverberarsi sulle condizioni di credito traducendosi in un aumento dell'1% del tassi. Un incremento che non sarebbe indolore: secondo i calcoli dell'Istat, sottrarrebbe infatti 0,7 punti percentuali alle attuali stime di crescita economica, con un impatto immediato e diretto sugli investimenti, frenando le intenzioni delle imprese e riducendo la relativa spesa.
La Nota conferma che misure di sostegno ai redditi pari a mezzo punto di Pil possono spingere il Pil di 0,2-0,3 punti: a questo però si assocerebbe anche più inflazione, che annullerebbe gli effetti reali della misura. Inoltre questo scenario si basa sull'ipotesi di una politica monetaria accomodante in grado di neutralizzare possibili tensioni sul credito. Con la fine del quantitative easing, difficile che vada così.
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