Quello che sta per concludersi fra qualche giorno è stato un anno vissuto pericolosamente dalle banche italiane. Forse il peggiore dal crac Lehman Brothers del 2008 che ha scosso il mondo della finanza.
L'«annus horribilis» è iniziato sotto il peggior auspicio: l'entrata in vigore, dal 1 gennaio, delle direttive europee sul cosiddetto bail in. Ovvero la nuova modalità di risoluzione delle crisi bancarie che sposta sui privati l'onere dei salvataggi. In realtà il vento si era già alzato domenica 22 novembre: il governo, con un decreto mette in «risoluzione» le banche di Etruria, Chieti, Marche e Ferrara. L'indomani 10.600 clienti di queste stesse banche che erano anche obbligazionisti subordinati hanno visto azzerato il loro capitale, per 330 milioni. Il salvataggio delle quattro banche implicava la determinazione di un prezzo per i crediti in sofferenza: erano stati valutati circo il 17% del loro valore di bilancio. E a questo multiplo tutti gli analisti e investitori si sono affrettati a calcolare il deficit di capitale delle altre banche italiane. Risultato: la Borsa di Milano, nei primi 40 giorni del 2016, crolla del 30 per cento. Le nostre banche diventano il problema numero uno in Europa. Prima pagina fissa sul Financial Times, primo piano su tutte le pagine finanziarie. Diventano quello che era la Grecia un anno fa o lo spread nel 2011. Eppure il 20 gennaio il presidente del consiglio Matteo Renzi, dichiara: «A questi prezzi Mps è un affare». Quando si dice la lungimiranza.
Arriva la primavera e nasce il fondo Atlante con la regìa del patron delle Fondazioni, Giuseppe Guzzetti. Obiettivo: raccogliere i titoli inoptati delle banche in crisi ma anche comprare crediti deteriorati. La prima missione è quella di salvare la Popolare di Vicenza e Veneto Banca affossate dalle gestioni Zonin e Consoli. A marzo va in scena la drammatica assemblea dell'istituto vicentino sulla trasformazione in spa: la maggioranza vota sì. Ma i soci sono imbufaliti: due anni fa avevano pagato 62 euro un'azione e ora se la ritrovano in tasca a 6,3 in base al prezzo fissato per il recesso. Poche settimane dopo andranno giù fino a zero, con gli aumenti di capitale.
Si arriva all'estate. Rovente. Approfittando degli sconquassi finanziari della Brexit, l'allora premier prova un blitz per forzare la mano sia a Bruxelles sia Berlino e ottenere deroghe alla legge bancaria europea che permettano aiuti di Stato piuttosto che una moratoria sulle regole del bail in. Ma improvvidamente Renzi ne parla anche in pubblico il che rende vano ogni tentativo di cambiare le carte in tavola. Conseguenza: la banca più debole del sistema, Mps, precipita in Borsa ai minimi storici.
L'estate 2016 verrà ricordata anche in casa Unicredit dove l'uscita dell'ad Federico Ghizzoni ha tenuto banco per settimane con il totonomine. A luglio arriva Jean Pierre Mustier e avvia la rivoluzione che porterà all'aumento da 13 miliardi da varare nei primi mesi del 2017.
Tornando da dove siamo partiti, le quattro cosiddette good banks salvate a novembre 2015 sono ancora in mezzo al guado. Bankitalia ha chiesto a Ubi di farsi carico delle nuove Etruria, Marche e CariChieti, sulle quali però pesano altre svalutazioni patrimoniali.
E Bper, nel frattempo trasformata in spa prima che la Consulta congelasse la riforma renziana delle popolari, probabilmente si porterà a casa CariFerrara. Ma questo succederà nel 2017. Come cantava Lucio Dalla, l'anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va.
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