L'aumento dell'Iva al 25% si mangerà tutta la flat tax

Tria vuole far scattare le clausole di salvaguardia, ma Pil e consumi caleranno

Gian Maria De Francesco

Roma Il neo ministro dell'Economia, Giovanni Tria, dovrà valutare bene l'opportunità di far scattare le clausole di salvaguardia su Iva e accise per finanziare parzialmente l'introduzione della flat tax. L'orientamento pubblicamente dichiarato dall'economista (meglio aumentare le imposte indirette che far salire quelle dirette) rischia, infatti, di depotenziare, se non di azzerare del tutto l'effetto positivo di un'Irpef a due aliquote.

Secondo una stima dell'ufficio economico di Confesercenti rielaborata da Adnkronos, infatti, gli aumenti dell'Iva previsti dalle clausole di salvaguardia dovrebbero costare, già nel 2019, 480 euro a famiglia per effetto del calo dei consumi. Gli italiani, probabilmente, reagirebbero agli aumenti riducendo le spese. Si produrrebbe, pertanto, un calo di mezzo punto di consumi (-0,5%) già nel 2019, con una flessione che arriverebbe a -0,8% nel 2020 e -0,9% nel 2021. Se si lasciassero scattare gli aumenti previsti dal Def, l'aliquota Iva ridotta del 10% passerebbe all'11,5% dal primo gennaio 2019 e al 13% dal primo gennaio 2020. L'aliquota Iva ordinaria del 22% passerebbe al 24,2% dal primo gennaio 2019, al 24,9% dal 2020 e al 25% dal 2021. Per bloccare il meccanismo occorrono 12,4 miliardi l'anno prossimo (0,7 punti percentuali di Pil) e 19 miliardi nel 2020 (circa l'1,1% del Pil).

Nella situazione attuale di ripresa economica appena avviata e soprattutto di consumi ancora non consolidati, l'operare delle clausole, attraverso l'aumento delle aliquote Iva sui beni di consumo, provocherebbe un incremento dei prezzi che, pur ipotizzando un parziale assorbimento da parte delle imprese (della distribuzione, in particolare) vista la domanda non sostenuta, genererebbe una riduzione degli acquisti da parte delle famiglie. In particolare, sulla base delle relazioni storiche Confesercenti stima un effetto immediato in termini di Pil pari a un calo dello 0,3% il prossimo anno e dello 0,4% nel 2021 legato in prevalenza all'impatto della misura sui consumi delle famiglie (stimati in contrazione rispettivamente dello 0,5% nel 2019 che diventerebbe -0,9% nel 2021). Dato l'effetto sull'economia, anche l'entità del saldo di bilancio ne risulterebbe ridimensionata, ma è evidente che l'impatto principale sarebbe sull'andamento complessivo della nostra economia. L'aumento sarebbe anche un colpo alla competitività del nostro turismo, perché farebbe peggiorare lo spread tra la nostra aliquota agevolata - applicata su ricettività e pubblici esercizi - e quelle straniere. Ammettendo che la flat tax nella versione a due aliquote del 15 e del 20% possa determinare un incremento del Pil del 2%, è evidente che la metà (se non più) di questo incremento sarebbe «divorata» dall'Iva. Senza contare che la diminuzione dei consumi per le fasce basse di reddito sarebbe pressoché inevitabile in quanto la «tassa piatta» incide relativamente su coloro le cui entrate sono inferiori ai 25mila euro annui.

Ora, secondo l'impostazione di Tria, recessione er recessione è meglio pagarla con l'Iva che con tagli di spesa corrente che andrebbero ugualmente a toccare il potere d'acquisto delle famiglie. Assumendo per buona la sua interpretazione, c'è da augurarsi che quei 12,4 miliardi siano dirottati alla flat tax e non altrove.

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