Di che rabbia sei?

Dal lavoro ai social, l'ira accompagna le nostre vite. Ma ha anche lati positivi

Di che rabbia sei?

Non tutta la rabbia viene per nuocere. C'è anche quella positiva, addirittura creativa, come quella di Basquiat: «L'80 per cento dei miei lavori nasce dalla rabbia». C'è quel senso di rivalsa, che dannatamente ti spinge a fare, a dimostrare. Ci sono gli adolescenti ad esempio, arrabbiati da generazioni che hanno voglia di gridarlo al mondo. «Evolutivamente necessaria», la chiama così il professor Alberto Siracusano, ordinario di psichiatria e direttore della scuola di specializzazione in psichiatria dell'Università di Roma Tor Vergata che nel suo ultimo libro, Ira funesta. Imparare a gestire la rabbia, edito Mondadori, tenta di spiegare «un sentimento che sembra aver sempre più peso nella nostra società, perchè sì, siamo sempre più arrabbiati». Ma attenzione, per essere «buona» la rabbia deve essere un «modo per confrontarsi, per capire le esigenze dell'altro e riflettere sui propri limiti. «Come ad esempio capita in una coppia. Litigare va bene, la rabbia è ammessa, a patto che non si interrompa il dialogo» che saltino gli argini. Già, una parola. Facile a dirsi, peggio da mettere in pratica, perchè allora quando succede di andare oltre, diventa ira, o per dirlo ancora meglio con le parole del professore «male di rabbia, una condizione psicopatologica caratterizzata da comportamenti devianti». Agire violentemente contro l'altro, il passaggio al male, il possesso; parola quest'ultima che fa rabbrividire, che fa pensare subito al più orrendo dei crimini, il femminicidio.

È che poi si ha la netta sensazione che la rabbia ultimamente si sia arrampicata e intrufolata come edera nell'esistenza di ognuno di noi. Ci sono i social che lo raccontano meglio di tutti, trasversalissimo, che coinvolge anche e sempre più spesso anche i politici. «È la rabbia 2.0, quella dei social e nei social, sempre più liberi di giudicare, di insultare perchè è saltato qualcosa». Cosa è cambiato? Siamo davvero più arrabbiati? E perchè? È il professore che chiarisce: «Abbiamo perso il dialogo, la predisposizione e la pazienza prima di tutto. Viviamo in quella che si potrebbe riassumere come «povertà vitale» una carenza di affetto, una perdita di valori in una società che è in crisi ma non solo economicamente parlando».

Basta vedere quello che succede nelle scuole, dove la perdita dei ruoli rende i professori vittime e prede dei bulli, c'è una mancanza del valore affettivo. Meglio imparare il perdono. Tornare a una riflessione, mettersi nei pani dell'altro. Uno sforzo sicuramente, ai tempi d'oggi.

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