Sarà pure sottotraccia l'ultimo fronte con cui è alle prese il governo Renzi, ma rischia comunque di essere il più pericoloso. Non tanto perché si va ad aggiungere alle recenti vicende giudiziarie che stanno mettendo a dura prova la tenuta di Alfano nell'esecutivo (vedi i casi Castiglione e Azzollini) e di Marino a Roma (dove in molti temono si tornerà presto alle urne), quanto perché la storia recente ha già dimostrato quanto possa essere funesto per chi siede a Palazzo Chigi perdere il favore degli Stati Uniti. E oggi, mai come prima da quando Renzi è premier, i rapporti con Washington sembrano muoversi su un crinale pericoloso.
Al centro della tensione c'è la visita di Putin in Italia, prima a Milano dove ha fatto tappa all'Expo e incontrato Renzi, poi a Roma per il faccia a faccia con il Papa e l'incontro con Berlusconi. Se Oltreoceano, infatti, davano per scontati i buoni rapporti tra il presidente russo e il leader di Forza Italia, diverso era l'atteggiamento che si attendevano dall'attuale inquilino di Palazzo Chigi. Considerato troppo ambiguo sulla crisi ucraina ma anche oltremodo accondiscendente nella forma, con sorrisi che per quanto potevano essere di circostanza non erano comunque appropriati al braccio di ferro in corso con la Russia in questi mesi e soprattutto negli ultimi giorni. Una vera e propria crisi diplomatica formalizzata dalle conclusioni del G7 svoltosi in Germania lo scorso fine settimana, ma pure dal voto del Parlamento europeo di mercoledì. Quando con 494 sì, 135 no e 69 astenuti l'Aula di Strasburgo ha approvato un rapporto sullo stato delle relazioni Ue-Russia nel quale si dice chiaramente che Mosca «non è più un partner strategico» a causa della «violazione deliberata dei principi democratici e del diritto internazionale».
In questo quadro, insomma, l'approccio avuto da Renzi è stato considerato troppo «facile» e «accondiscendente». Tanto che persino la Casa Bianca ha fatto filtrare una qualche preoccupazione, ricordando quelli che sono gli impegni presi. «Da tutti i leader del G7, compreso il primo ministro Matteo Renzi», ci hanno tenuto a precisare. Dall'ambasciata americana a Roma sono persino più tranchant , perché se «la visita all'Expo di Milano non era rinviabile», forse poteva essere evitata la conferenza stampa congiunta visto che «il ritorno alla normalità nei rapporti con Mosca non sarà possibile finché il Cremlino non rispetterà pienamente gli accordi di Minsk».
«Le sanzioni contro la Russia non vanno alleggerite. Vanno tolte. Ci amareggia il fatto che debba venire in Italia Vladimir Putin per ricordarci che perdiamo fatturato. Aggiungo che quest'anno andranno in fumo 3 miliardi di euro». Lisa Ferrarini, consigliere delegato dell'omonimo gruppo agroalimentare e vice presidente di Confindustria con delega per l'Europa, usa toni durissimi nei confronti dell'Unione europea.
Presidente, vecchie sanzioni e nuovi diktat. Per Bruxelles la Russia non è più partner strategico dell'Unione.
«Siamo di fronte a una vera e propria violenza. Il mercato russo, che è nato come nicchia, negli anni ha avuto una crescita importante, esponenziale, fino a registrare un valore di 13 miliardi di export complessivo (dati relativi al 2013, ndr ). Per volumi siamo secondi dopo la Germania. Ho l'impressione si giochi a distruggere tutto».
Europa sì, Europa no...
«Premesso che sono europeista convinta, devo dirle che questa Europa mi piace molto poco. Innanzitutto perché nell'agenda politica non esistono crescita, occupazione e progetti condivisi. Capisco l'euroscetticismo dilagante, leggi Inghilterra. C'è da mettere in discussione tutta l'impalcatura di questa strana Unione».
Ma gli altri decidono per noi.
«Gli incontri dei giorni scorsi sono stati imbarazzanti. Mentre Renzi era con Putin a Milano, Francia e Germania discutevano dei problemi dei Paesi membri, e in particolare della Grecia. Stiamo rischiando su tutti i fronti. La verità è che queste sciagurate sanzioni ci hanno fatto perdere quote importanti di export. Se si esce da un mercato per mesi e mesi, quando lo si riconquista? Per ritorsione la Russia ha chiuso la porta in faccia all'ortofrutta, carni lavorate, calzature, moda, lusso. Problemi anche per l'arredamento, fiore all'occhiello del made in Italy . È come se il giorno dopo uno dovesse crearsi un mercato alternativo. Non funziona così. Abbiamo solo favorito la Cina e i Paesi sudamericani. Ci riprenderemo il mal tolto, forse. Ma a fatica e con investimenti doppi rispetto al passato».
Parliamo del suo settore, l'agroalimentare.
«Abbiamo già mille barriere tariffarie, e in alcuni Paesi anche sanitarie. Se a tutte queste complicazioni aggiungiamo pure le sanzioni, la situazione diventa esplosiva. Gli imprenditori italiani vanno in giro per il mondo a vendere il made in Italy , ma l'Europa deve metterci nelle condizioni di farlo. Ripeto, non faccio parte degli euroscettici, ma sto parlando di un'Europa che non mi piace. Prenda ad esempio la nostra battaglia sul made in . Continuiamo a prenderci diktat in faccia dai Paesi del Nord. Non possiamo più accettarli. O ci adeguiamo tutti quanti, oppure qualcuno dovrà spiegarmi a che cosa serve il Parlamento europeo».
Intanto transazioni e assicurazioni sono bloccate.
«Altro elemento di grande criticità che genera forte prudenza del sistema bancario sui finanziamenti e sulle assicurazioni per le imprese che operano in Russia. Faccio l'esempio del calzaturiero: questo scherzetto ha quasi azzerato l'export del settore, con ricadute drammatiche sull'occupazione e pesante ricorso alla cassa integrazione. In passato il comparto non aveva avuto simili problemi».
Non solo export, soffre anche il turismo.
«Vero, i russi non vengono più in Italia. E non è poco. Spendevano molto... Da imprenditore tutto questo mi spaventa».
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