Fatte le debite proporzioni, ci si aspetterebbe che fosse, per Matera, ciò che l'Expo è stato per Milano. Essere designata Capitale della Cultura europea per un anno, il prossimo che ormai è qui dietro l'angolo, dovrebbe mettere in fibrillazione la città intera, rendendola, oltre che giustamente orgogliosa per una «medaglia» continentale da appuntarsi al petto, anche prosaicamente speranzosa nei guadagni derivanti da un evento lungo 365 giorni (perché i soldi, come la cultura, non guastano mai e fanno sempre comodo...).
Ma pare proprio che non sia così. Due giorni fa, il sindaco Raffaello De Ruggieri, intervistato niente meno che dal New York Times, ha detto senza troppi giri di parole, all'esterrefatta inviata Danielle Pergament, che «noi non vogliamo i turisti, non vogliamo essere invasi da loro». Per poi proseguire con il consueto excursus da guida turistica, per l'appunto: dalla preistoria alla vita nelle grotte proseguita fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, per giungere infine alla precedente medaglia, in quel caso addirittura mondiale, di Patrimonio dell'Unesco, datata 1993. Ma come sono strani, questi italiani, si sarà detta la Pergament, ora che potrebbero avere puntati addosso tutti i riflettori del pianeta, preferiscono restare nell'ombra.
Poiché a volte accade, eccome se accade, che i primi cittadini non interpretino alla lettera il sentimento di tutti gli altri, dal secondo all'ultimo, sarebbe il caso di approfondire il tema. E per farlo cade a fagiolo una storia personale, personalissima, molto di provincia nell'imminente Capitale mondiale. È la storia di Giuseppe Antonio Badalà, 49 anni, libraio. Il cognome viene da lontano, dalla Sicilia. Ma lui prima di arrivare a Matera ha fatto a lungo sosta a Roma, anche lì andando a caccia di libri più o meno antichi, ma comunque sempre fuori catalogo. Un archeologo dell'editoria, insomma, più un bibliotecario che un venditore di volumi. Badalà ha fatto girare, su Facebook, il suo messaggio nella bottiglia, perché vorrebbe uscire dalla condizione di naufrago aggrappato alla fragile zattera dei suoi libri. Ha seri e pesanti problemi familiari (più pesanti dei Sassi di Matera), con una compagna lontana, molto lontana, anche se geograficamente vicina, che sta a Potenza, e due figli di 13 e 6 anni da crescere (quando lo raggiungiamo telefonicamente sta andando a prendere il maggiore a scuola). «Non basta - scrive in una mail - esser forti e avere tanta buona volontà a 50 anni, per affitti casa negozio bambini e via via così, una serie di spese che fino a oggi sono riuscito ad affrontare, trascurandone delle altre, ora però sono in ginocchio...». Eppure trova il modo di affrontare, insieme ai suoi, anche i problemi della città dove giunse quasi dieci anni fa. Il suo negozio, «Libromania», è in via Lucana al 13, ma talmente nascosto in un angolino da sembrare proprio una di quelle grotte che i turisti vanno cercando non molto distante.
«Noi Capitale della Cultura? Dal mio punto di vista la gente pare non interessarsene un granché, quasi non essersene accorta. Sa, non è che qui da me ci sia un gran passaggio di clientela... Io lavoro soprattutto in Rete, tenendo contatti abituali con le solite persone. Mi chiede se la città sta facendo qualcosa per attirare l'attenzione da fuori? Direi proprio di no. Gli eventi culturali quasi non esistono. I turisti, che cosa vuole che facciano? Una volta visti quattro sassi e magari il presepe vivente, non hanno altro da fare... Chi si mette in proprio per proporre qualcosa non trova terreno fertile.
Io organizzo qualche incontro, nella mia libreria, e ho notato che, quando facevamo un po' di musica, soprattutto i giovani erano più numerosi. Poi un giorno mi hanno fatto sapere che dopo le nove e mezzo di sera dovevamo smetterla, perché c'era troppo rumore». Matera Capitale della Cultura? Molto rumore per nulla.
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