L'ingiustizia: vietato spostare la Ferrario. Minzolini, confermata condanna a 4 mesi

La difesa dell'ex direttore: «Volevo solo dare spazio ai giovani e rinnovare»

L'ingiustizia: vietato spostare  la Ferrario. Minzolini, confermata condanna a 4 mesi

Roma - Condannato a 4 mesi di reclusione per aver dato un'opportunità ai precari del servizio pubblico, per aver creduto nel rinnovamento dell'informazione. Questo è il vero paradosso della sentenza con cui la Terza Corte d'Appello di Roma ha confermato la condanna per abuso d'ufficio all'ex direttore del Tg1, Augusto Minzolini, reo d'aver tolto, dopo 28 anni, la conduzione del Tg delle 20 a Tiziana Ferrario. Come se quella mansione fosse un diritto acquisito, un bene inalienabile. «Ero un ragazzino - si difende lui - quando Tiziana Ferrario è entrata in video». Minzolini si trova di fronte ad un pubblico invecchiato assieme ai conduttori e ad un capannello di collaboratori precari, ben 18, lasciati in eredità dai suoi predecessori. La prima cosa che fa è assumerli tutti («infischiandomene del loro pedigree politico») e inizia a pensare al cambio di alcune conduzioni. Tra i mezzobusti più longevi c'è la Ferrario, classe 1957, una veterana del telegiornale, la prima donna ad andare in onda al Tg della sera. «Frontwoman» Rai da quasi tre lustri, roba da far impallidire personaggi del calibro di Paolo Frajese e Bruno Vespa, durati appena sette stagioni. Quando Minzolini lascia il Tg1, l'età media degli ascoltatori è scesa da 61 a 58 anni ma, per la Ferrario, quel turnover è stato solo «una grande porcata». La giornalista - dopo aver rifiutato altre mansioni prestigiose - decide di ricorrere alla magistratura giuslavorista e poi a quella penale, dove una nomina basta a tramutare «la scelta di rinnovare i volti dei conduttori» in una «ritorsione politica». E le decisioni di un direttore «antipatico» in «un torto». La Ferrario sarebbe stata «discriminata» e «demansionata» per aver sostenuto posizioni critiche in merito all'imparzialità di Minzolini, troppo in linea con il governo di allora e l'ex premier. Ed è proprio Silvio Berlusconi, «il cui nome è stato citato in aula spesso e a sproposito», il convitato di pietra di questo processo alle intenzioni. Il casus belli è il «caso Mills» e quel titolo in cui non si parla di «prescrizione», bensì di «assoluzione». «Una critica strumentale», secondo Minzolini che parla di «errore veniale», per altro non commesso da lui ma da un vice caporedattore, e ci tiene a precisare: «Il titolo incriminato è arrivato dopo cinque edizioni del Tg1 che hanno dato la notizia correttamente, sia nei titoli, sia nella notizia».

Un escamotage, quello di «buttarla sulla politica», per «bloccare il rinnovamento delle conduzioni, un rinnovamento che era in mio potere anche perché la conduzione non è un ruolo, ma una mansione».

Vallo a spiegare ai baroni del piccolo del schermo. Nel frattempo, però, i direttori che si sono avvicendati dopo Minzolini non hanno riabilitato la collega. Farà causa anche a loro?

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