L'Iran abbandonato dagli alleati storici. Da Putin solo parole

Il ministro degli Esteri a Mosca incassa sostegno Hormuz, dubbi di Pechino

L'Iran abbandonato dagli alleati storici. Da Putin solo parole
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La Triplice delle autocrazie sta per perdere l'Iran? In effetti, al di là delle parole di circostanza e delle promesse di sostegno, non sembra che la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping stiano facendo qualcosa di concreto per puntellare il regime degli ayatollah di Teheran, sotto attacco congiunto israeliano e degli Stati Uniti.

Ieri, all'indomani dello scioccante attacco aereo americano sui siti nucleari della Repubblica islamica, il ministro degli Esteri iraniano è volato a Mosca da Putin. Stiamo parlando del Paese che da anni ormai non solo rifornisce la Russia di un numero enorme di droni e missili per martirizzare l'Ucraina, ma che le ha anche ceduto il know how per produrre in casa propria queste armi. L'Iran, insomma, è non solo un alleato prezioso di Putin, ma avrebbe anche buone ragioni per attendersi della riconoscenza. Il ministro Aragchi, quindi, è andato al Cremlino per chiedere aiuto per salvare la Repubblica islamica.

E cosa ha ottenuto? Parole. Elaborate parole di condanna "dell'aggressione all'Iran non provocata e ingiustificata" e la generica assicurazione che la Russia "sta compiendo sforzi per sostenere il popolo iraniano". In una conferenza stampa il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha risposto in modo elusivo a due domande molto precise. "Cosa è disposta Mosca a fare per l'Iran?": "Dipende dalle esigenze di Teheran". "Siete disposti a fornire armi all'Iran sotto attacco?": "Tutto dipende da cosa diranno i nostri amici iraniani, intanto ribadiamo l'offerta di mediare tra Israele e Iran, questa è una forma di sostegno alla parte iraniana". Parole. Nelle stesse ore, gli israeliani non solo tornavano a bombardare il sito atomico iraniano di Fordow, ma colpivano simboli del regime nella capitale nemica come il quartier generale dei Pasdaran, facendovi strage, e il famigerato carcere di Evin.

È piuttosto evidente che Putin, la cui macchina bellica è stremata da 40 mesi di guerra in Ucraina, non dispone dei mezzi per proteggere i suoi alleati in Medio Oriente. Si era già visto nel dicembre scorso, quando l'unica cosa che poté fare per il suo protetto siriano Bashar al Assad fu accoglierlo esule a Mosca. Inoltre, è palese che la priorità di Putin è il rapporto personale con Donald Trump, dal quale si aspetta di ricevere, in cambio di un sostanziale abbandono russo dell'Iran, l'assenso a continuare, sempre meno disturbato dagli Stati Uniti, la sua brutale aggressione all'Ucraina.

Dunque Putin osserva e attende. Tanto dipenderà dalle imminenti reazioni iraniane agli attacchi americani e dal livello delle inevitabili controreazioni. E la Cina? Idem. Pechino gioca ormai da anni una sua complessa partita mediorientale. Ha mediato con successo tra gli arcinemici iraniani e sauditi, si pone come protettrice dei palestinesi, e come Putin ha relazioni bilaterali sempre più strette con Teheran in funzione anti occidentale.

Condanna gli attacchi Usa, ma si oppone a un blocco iraniano dello stretto di Hormuz: che per Teheran sarebbe un suicidio economico, visto che vende alla Cina il 90% del proprio petrolio, ma un disastro anche per Pechino, essendo il greggio iraniano un sesto circa di tutto il suo import di petrolio.

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