RomaUn Paese dove crescono la pressione fiscale e la spesa pubblica, non i redditi né i profitti delle imprese. Su Matteo Renzi continuano a grandinare dati e analisi poco piacevoli, non in sintonia con la narrazione, come va di moda dire, di un'azione di governo centrata ed efficace. Ieri è toccato di nuovo all'Istat dare cattive notizie, con il dato definitivo della pressione fiscale del 2014, fissata al 43,3%, in crescita dello 0,1 per cento rispetto all'anno precedente. Nel quarto trimestre 2014 la pressione si è attestata al 50,3 per cento, anche in questo caso l'aumento rispetto all'anno scorso è stato di un punto base.
Solo un problema di calcolo secondo il governo. «Nel 2014 tasse più basse di 2012 e 2013. L'Istat tratta gli 80 euro come spesa, non come tasse in meno», ha spiegato il responsabile economico della segreteria Pd Filippo Taddei. Tesi analoga dal ministero dell'Economia, che ha fornito una dato alternativo sulla pressione: il 43,1%. Tutta colpa del fatto che il bonus Renzi risulta come «spesa sociale» e non, come vorrebbe l'esecutivo, una riduzione del cuneo fiscale.
Effettivamente la spesa pubblica nel 2014 è cresciuta, facendo arrivare il rapporto deficit/Pil al 3%, lo 0,1% in più del 2013. L'unico segno meno sulle uscite riguarda la spesa per interessi, passata nel quarto trimestre, da 20,66 a 19,7 miliardi. Un calo del 4,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Un dato positivo, l'unico, da mettere esclusivamente sul conto di Mario Draghi e del Quantitative easing varato dalla Banca centrale europea. Un occasione, forse irripetibile, che l'Italia rischia di buttare via insieme al calo del prezzo del petrolio. Sembra pensarla così, ad esempio, Standard & Poors che in un documento sull'economia europea ha giudicato «deludente» la crescita italiana, con un Pil 2015 stimato al più 0,4%. I consumi sono fermi e manca la spesa per investimenti. Secondo la società di rating l'unica chance per l'Italia è che l'euro debole favorisca le esportazioni.
Bordate anche dal Wall Street Journal . Dopo un giro di presenze positive nei media internazionale di Matteo Renzi, ieri una doccia gelata dal quotidiano Usa, secondo il uale è l'Italia e non la Grecia è il «cuore» della questione dell'euro. «Se la crisi della Grecia è acuta, allora l'Italia ne ha una forma cronica: è cresciuta pochissimo dal suo ingresso nell'euro, è un elefante nella stanza». Gli sforzi di Renzi per il WSJ «meritano credito». Nel senso che di effetti ancora non ne hanno avuti.
Molto di più della dispute sul filo dei decimali, quindi. Al di la dell'ufficialità anche il governo è preoccupato, tanto che ha sentito il bisogno di promettere tempi migliori. «La priorità è una riduzione stabile del fisco su lavoro e imprese», ha assicurato Enrico Morando, viceministro dell'Economia.
Impresa non facile, come ammettono dallo stesso dicastero. Se e quando la spending review nuova versione darà i suoi frutti, tutti i risparmi dovranno andare a coprire le clausole di salvaguardia e quindi, in particolare, a evitare gli aumenti dell'Iva in programma per il 2016. Niente per la crescita.
Sempre dall'Istat è arrivata la conferma che per le imprese la crisi non è finita. La quota di profitti delle società non finanziarie è stata pari al 40,6%, diminuendo di 0,8 punti rispetto al 2013, il minimo dal '95.
Dati arrivati ad appena due giorni dalla notizia che la disoccupazione sta ancora crescendo. Qualche segnale positivo arriva dalla fiducia e consumi. Ma, in generale l'italia resta un Paese con un'economia ferma, vitale solo nella spesa pubblica e nelle entrate fiscali.
La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici nel 2014: una diminuzione di 0,3 punti rispetto al 2013
La quota di profitto
delle società non finanziarie nel 2014 diminuito di 0,8 punti rispetto al 2013: il nuovo minimo storicoLa pressione fiscale nel 2014 in aumento di 0,1 punti rispetto al 2013. Nel quarto trimestre 2014 è stata pari al 50,3%
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