Matteo Renzi ha già spiegato cosa facesse il suo governo mentre l'Italia votava la mozione Unesco che nega i legami tra ebrei, cristianesimo e Gerusalemme. Parlando di voto in totale «automatismo» il premier ha dipinto un esecutivo sprofondato in sonni beati. Così beati da non risvegliarsi neppure venerdì quando l'Assemblea Generale dell'Onu ha votato, nell'indifferenza dell'Italia l'entrata dell'Egitto nel Consiglio per i Diritti Umani. Sì avete letto bene. Da 48 ore a questa parte, grazie al voto di 173 dei 193 paesi dell'Assemblea dell'Onu, l'Egitto - il paese che a febbraio ci ha restituito il cadavere torturato dello studente Giulio Regeni - siede nel sancta sanctorum di Ginevra incaricato, in teoria, di denunciare le violazioni dei diritti umani. Affidare il compito di vigilare sui «diritti umani» a un paese con 41mila prigionieri politici, 1700 desaparecidos nel 2015 e, stando ai dati di Amnesty International, 754 omicidi extragiudiziali nei primi cinque mesi del 2016 può sembrare una vergogna. Ma per gli standard dell'Onu, che ha invece cacciato dallo stesso Consiglio per i Diritti Umani un Russia colpevole di bombardare i terroristi di Al Qaida in Siria, si tratta d'una vergogna ricorrente. In fondo l'Egitto s'accomoda al fianco di nazioni come l'Arabia Saudita dove la decapitazioni pubbliche sono l'equivalente delle nostre partite di calcio, di una Cuba dove l'unico posto legale per il dissenso è dietro le sbarre e di quella Cina dove le migliaia di esecuzioni annuali sono precedute dall'espianto degli organi dei condannati. L'aspetto più inquietante per quanto ci riguarda è, invece, il non sapere se tra i 20 voti contrari all'ammissione dell'Egitto si possa contare con certezza anche quello dell'Ambasciatore Italiano all'Onu. Fonti qualificate del Giornale fanno intendere che l'Italia abbia, alla fine, scelto la strada del «no» . La Farnesina, interpellata dal Giornale, per conoscere la posizione su quel voto risponde ufficialmente che il voto alle Nazioni Unite è segreto. Ma in fondo un «sì» o un «no» in un'assemblea generale abituata a delegare il giudizio sui diritti umani ai peggiori «stati canaglia» conta poco. Più importante sarebbe sapere se l'imminenza di quello scrutinio sia stata accompagnata da qualche azione diplomatica in seno al Palazzo di Vetro per ottenere la solidarietà di altre nazioni, utilizzare la candidatura dell'Egitto come un grimaldello e strappare qualche briciolo di verità sul caso Regeni. A questa domanda la Farnesina risponde però con un imbarazzo e un silenzio sufficienti a sgombrare il campo da qualsiasi speranza. Del resto anche la sezione italiana «Amnesty International» - attivissima nel seguire sin dall'inizio il caso Regeni - ha seri dubbi sull'attivismo del nostro governo. «Non mi stupirei se l'Italia avesse votato sì all'ammissione dell'Egitto, magari nel rispetto di quegli automatismi che spesso legano il nostro voto alle scelte dell'Unione Europea dichiara al Giornale il portavoce italiano di Amnesty Riccardo Noury. «Di certo in queste settimane non ci siamo accorti di alcuna particolare iniziativa per condizionare quel voto o ostacolare la nomina dell'Egitto. L'impressione - rincara il portavoce di Amnesty - è che dopo il ritiro dell'ambasciatore si stia seguendo una via negoziale molto blanda». Una via, insomma, esattamente opposta a quella che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sostiene di voler perseguire. «Se qualcuno immaginava che il tempo avrebbe portato l'Italia ad allentare l'attenzione, sbagliava... Continueremo a esercitare la nostra pressione diplomatica affinché si arrivi alla verità - ammoniva ad aprile il ministro. Un monito reiterato giovedì scorso davanti agli studenti dell'Università Luiss di Roma. Il caso Regeni è per noi una ferita aperta...
Non siamo soddisfatti, non a caso abbiamo ritirato l'ambasciatore in Egitto e non l'abbiamo più rimandato al Cairo». Ma mentre Gentiloni prometteva e l'Italia taceva l'Egitto si preparava a diventare il nuovo giudice dei diritti umani. Alla faccia del povero e innocente Giulio Regeni.
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