Giulio Lolli, l’ultimo avventuriero, latitante e truffatore è al capolinea della sua vita da romanzo. Questa volta gli è piombata sulla testa l’accusa della procura di Roma di terrorismo internazionale per aver rifornito di armi e munizioni un gruppo jihadista a Bengasi. Per chi ha conosciuto Lolli, 54 anni, di Bertinoro, a un passo da Forlì, è difficile credere che sia un Bin Laden italiano. Latitante da quasi 10 anni per una mega truffa sulle doppie vendite di yacht è stato rimpatriato ieri mattina da Tripoli con un aereo dei servizi segreti. I libici lo avevano sbattuto dietro le sbarre dal 2017, per screzi fra milizie, condannandolo addirittura all’ergastolo. Grazie al lavorio diplomatico dell’ambasciata italiana la discutibile sentenza per terrorismo emessa l’8 settembre prevedeva l’espulsione immediata verso casa.
Poi l’ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi ha smussato le ultime spigolature con il procuratore generale e il governo di Tripoli. Lolli in Italia deve scontare una condanna di cinque anni per bancarotta fraudolenta legata alla truffa degli yacht, ma è stato trasferito dall’aeroporto romano di Ciampino al carcere di Regina Coeli per rispondere delle accuse di terrorismo. Il gip Cinzia Parasporo, che ha convalidato l’arresto richiesto dal pm Sergio Colaiocco, è convinta dell’ “inserimento (di Lolli nda) in un chiaro contesto eversivo” . Le indagini dei carabinieri del Ros avrebbero accertato che l’italiano era “tra i comandanti del cartello islamista denominato Majlis Shura Thuwar Benghazi.” E fino all’ottobre 2017 guidava “le forze rivoluzionarie della Marina”. La missione navale europea Sophia ha intercettato lo yacht di Lolli, il Leon, ribattezzato “Buka El Areibi”, dal nome di un combattente morto in battaglia. E un’altra imbarcazione simile fatta arrivare dall’Italia, il Mephisto, rinominato El Mokhtar. A bordo sono state trovate e sequestrare armi e munizioni “inclusi lanciarazzi e mine anticarro” diretti ai difensori islamisti di Bengasi. La seconda città libica assediata per anni e poi conquistata nel giugno 2017 dalle truppe del generale Khalifa Haftar, che oggi attaccano Tripoli. Lolli aveva pubblicizzato le sue missioni “umanitarie” per evacuare feriti e civilizza Bengasi sconvolta dai combattimenti. E ha sempre giurato di portare solo medicinali e generatori di corrente.
La shura (consiglio) di Bengasi citata dai carabinieri era un variegato cartello di forze anti Haftar compresa Ansar al Sharia, inserita nella lista dell’Onu delle organizzazioni terroristiche, poi sciolta dopo la capitolazione. La procura di Roma accusa Lolli di avere rifornito i terroristi attraverso il porto di Misurata. Però l’avventuriero italiano, un anno prima, sempre via mare, aiutava le milizie libiche, appoggiate anche da noi, che hanno liberato armi in pugno Sirte “capitale” dello Stato islamico in Libia.
Non solo: Lolli nel 2017 pilotava la motovedetta 07 con la scritta Police ormeggiata nel porto di Tripoli, che faceva parte di una specie di polizia marittima allora autorizzata dal ministero dell’Interno. A bordo c’erano i miliziani del comandate Taha Mohammed al Musrati, che starebbe ancora combattendo a Tripoli al fianco del governo di Fayez al Serraj, riconosciuto dall’Onu, contro Haftar. E in prima linea con lui ci sono anche i resti della shura di Bengasi, il cartello islamista individuato dai carabinieri del Ros che considerano Lolli “uno dei comandanti”. Per questo risulta difficile credere che l’avventuriero italiano sia un Bin Laden italiano.
La milizia portuale ha vita breve e il 28 ottobre 2017 Lolli viene arrestato dagli uomini di Rada, la polizia speciale di prevenzione del governo di Tripoli, che mantiene buoni rapporti con gli italiani. Salafiti non meno duri dei gruppi jihadisti di Bengasi, che Lolli avrebbe rifornito di armi, ma loro rivali nel contorto mondo islamico in Libia. L’italiano era rinchiuso fino a ieri nel carcere di Rada a Mittiga, l’aeroporto della capitale, bombardato ripetutamente dai droni di Haftar.
La sua storia, però, assomiglia a un romanzo da un decennio. Nel 2010 fugge dall’Italia a bordo del Leon verso la Tunisia rincorso dalle inchieste sulla truffa “Rimini yacht”. Quando scoppia la primavera araba pensa di trovare rifugio a Tripoli, ma i libici lo arrestano al lussuoso hotel Rixos della capitale su richiesta italiana via Interpol. Non verrà mai estradato perchè scoppia la rivolta contro il regime di Gheddafi. Dopo mesi di carcere infermale i rivoluzionari lo liberano e lui si unisce all’assalto a Bab al Azizya, la roccaforte del colonnello nella capitale.
Il nuovo governo gli consegna pure un’onorificenza e Lolli non si muove dalla Libia respingendo in tribunale le richieste di estradizione. Si converte all’Islam diventando “captain Karim” e allaccia rapporti con tutti, ma viene pure rapito e tenuto in ostaggio per mesi. Grazie alla sua perizia al timone comincia a fare rotta su Bengasi stritolata dall’assedio quando a Tripoli c’è un governo dai Fratelli musulmani, non riconosciuto dalla comunità internazionale, che appoggia i difensori jihadisti della città contro Haftar. Poi arriva il nuovo premier Al Serraj. Lolli non sembra scomporsi più di tanto nel gioco degli specchi del caos libico.
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