Manila Alfano
La rabbia nera e la paura che si armano e scendono in piazza. Decine di persone ad affollare le strade del centro di Madrid contro il governo socialista di Pedro Sanchez. Chiedono elezioni anticipate, e soprattutto si oppongono a qualsiasi concessione nei confronti dei partiti indipendentisti catalani. Quarantacinque mila secondo la polizia, «oltre 200mila» per loro: la destra, il Partito popolare e anche estrema destra, Vox e Falange España 2000, tutti a sfilare insieme, con loro anche Ciudadanos. E moltissima gente comune, così seriamente preoccupata per il futuro della Spagna, perchè si sentono traditi e allora si aggrappano a quello che resta: alla bandiera, alla Costituzione, alla monarchia. Dall'altra parte, i nemici. I separatisti che non mollano di una virgola; sono passati mesi, eppure la trincea catalana non arretra e il nodo resta lì da sciogliere, esattamente dove si era lasciato con le elezioni senza soluzione apparente otto mesi fa. Ma qui, il tempo che passa non cancella la memoria, ma la incattivisce solamente. La offende. Lo raccontano i discorsi della gente. Tutti ormai si sentono di dover stara da una parte o dall'altra. E il nemico è in casa per entrambi. È il vicino, il panettiere che la pensa in modo diverso, l'insegnante dei tuoi figli. E oggi, a lasciare che il tempo passi, il clima che si respira è diverso. Teso. La proposta del governo, martedì scorso, di nominare un relatore nei colloqui tra i partiti politici per affrontare la crisi catalana ha galvanizzato l'opposizione, che lo ha ritenuto un tradimento e una resa alle pressioni dei separatisti. In manifestazione, sotto lo slogan «Per una Spagna Unita. Elezioni ora», c'erano anche il premio Nobel peruviano Mario Vargas Llosa e l'ex premier francese Manuel Valls che è candidato a Barcellona come sindaco, sostenuto da Ciudadanos.
Martedì prossimo inizierà il processo a 12 leader indipendentisti catalani che rischiano fino a 25 anni di carcere con l'accusa di ribellione e uso improprio di fondi pubblici per il loro ruolo in un fallito tentativo di secessione dalla Spagna. E mercoledì il governo affronterà un voto chiave sulla proposta di bilancio per il 2019, che senza il sostegno dei partiti catalani potrebbe non passare. Se la legge di bilancio fosse bocciata, Sanchez potrebbe indire elezioni anticipate rispetto alla data prevista, il 2020. La protesta è stata indetta per chiedere le dimissioni di Sanchez accusandolo di avere «tradito» la Spagna dialogando con gli indipendentisti catalani. E giù applausi e striscioni: «Sanchez, bugiardo» e «la Spagna non è negoziabile e non può essere venduta».
«Il tempo di Sanchez è finito» ha ruggito il leader del PP, Pablo Casado, e ccomincia «la riconquista del cuore degli spagnoli». E intanto il primo ministro tenta di parare i colpi. «Il governo spagnolo lavora per l'unità della Spagna», ha tentato di assicurare il primo ministro socialista. «Ciò che faccio, in quanto capo del governo, rispettando sempre la Costituzione, è correggere una crisi di Stato che il PP ha contribuito ad aggravare quando è stato al potere per sette anni dal 2011 al 2018».
Ma oggi suonano solo come blande giustificazioni. Il clima è diverso e si sente. Lo sente anche lui e le sue armi sparano a salve.
«Voi rappresentate una Spagna in bianco e nero», ha detto poi Sanchez rivolgendosi al Pp e all'estrema destra. Ma non è del tutto così. E l'Andalusia lo spiega con i fatti. Sono proprio il Partito popular e Ciudadanos che laggiù, ex feudo della sinistra, hanno dato vita alla svolta politica a destra.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.