E così oggi quel progetto iniziale, il recupero dell'arco si amplia e prende il volo per un sogno: «Abbiamo parlato con il Soprintendente dei monumenti e il Soprintendente dei Beni Artistici, la nostra proposta è quella di rendere in qualche modo visibile almeno una parte del soffitto in modo che tutti possano ammirare tanta bellezza». Una perla rara San Cristoforo, chiesetta simbolo di Milano, entrata nella storia del cinema quando Sofia Loren e Mastroianni lasciavano la città, sullo sfondo proprio San Cristoforo, patrono dei pellegrini, affacciata sul Naviglio Pavese, strada per andare in Lomellina, cuore romantico della città. Chiesa al confine; la periferia è proprio lì, basta un passo, il degrado, il grigio, gli zingari e i furgoni coi finestrini rotti usati come magazzini.
Poi invece giri l'angolo e nella piazzetta trovi San Cristoforo, come una benedizione, che racconta un'altra storia, di bellezza e comunione, a partire dal suo genere, prototipo delle «chiese doppie», composta da due edifici, la chiesa più antica, quella di sinistra, del XII secolo, dove i restauratori sono all'opera, e a sinistra, la cappella Ducale viscontea del 1400, le due aule che si uniscono nel 1600.
Che San Cristoforo racconta una storia diversa lo capisci guardando la gente che la frequenta, sponsor dei restauri, fedeli a prendere appunti durante le prediche di don Pier Luigi Lia, il sacerdote, professore all'Università Cattolica che cita nelle sue seguitissime omelie «Via della Croce» di De Andrè, Dante e le pagine più intense di Dostoevskij.
È lui, grande punto di riferimento che ha coltivato il sogno del restauro della chiesa. «Abbiamo iniziato nel 2011 per la sistemazione della controfacciata- continua Parodi, uno dei rari affreschi dei primi del quattrocento lombardo accompagnati dalla firma dell'autore: Bassanolo de Magistris della cappella Ducale, la Crocefisione nel registro inferiore, e la Madonna in trono affiancata da due santi nel secondo registro». Il lavoro, costato circa 30mila euro, ancora sponsorizzato dai fedeli, è stato scrupoloso e attento. «Abbiamo fatto un anno di monitoraggio microclimatico, per capire l'umidità dei muri, grande nemico delle opere d'arte». Le nuove tecniche che si scontrano con quelle passate. «Negli anni '80, quando è stato fatto l'ultimo intervento, sulle pareti era stata applicata una malta grigia non traspirante. E l'affresco, era stato come tappezzato da una serie di toppe.
L'approccio di oggi è diverso, prima di tutto, trattandosi di un dipinto ancora in buono stato, con una lettura ancora nitida, si è cercato di considerarlo non come un frammento ma come un'opera uniforme e quindi gli interventi sono stati meno punitivi». E il risultato è stato davvero sorprendente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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