Miliardario inglese pro Brexit tradisce Londra e va a Monaco

Jim Ratcliff è l'uomo più ricco del Regno Unito: sponsor del «leave», ha lasciato il Paese per vivere nel Principato

Manila Alfano

«Il Regno Unito funzionerà benissimo anche fuori dall'Europa». Jim Ratcliffe, miliardario inglese tifosissimo della Brexit, non ha dubbi. E per sicurezza si è tirato fuori anche lui. Via dall'Inghilterra per volare a Monaco. Abbandonare il suo amato Regno e andare a vivere nel Principato. Al riparo e al sicuro. Non l'unico in effetti, tra i miliardari, a scegliere Monaco. Quello che però fa effetto - e che sta scatenando polemiche e critiche asperrime tra gli inglesi - è che proprio dall'ingegnere più facoltoso del Regno nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Perché se è lui che molla fa tanto tradimento.

Lui che ha fatto della Brexit la sua crociata, la sua orgogliosissima battaglia personale, diventando così personaggio da prima pagina: l'uomo più ricco del Paese secondo la lista pubblicata quest'anno dal Sunday Times, con un patrimonio calcolato in 21 miliardi di sterline (il doppio di Abramovich per intendersi) 15,3 miliardi di sterline in più rispetto all'anno scorso, proprietario del gigante chimico Ineos, azienda privata più grande del Regno Unito, e di Belstaff, si era esposto e battuto per convincere i suoi conterranei a votare «bene». Lui, uomo che si è costruito tutto da solo, nato con carte non proprio favorevolissime, da una famiglia umile, in una anonima casa popolare di Manchester e all'orizzonte - almeno all'apparenza - nessun talento da far fruttare. Una vita qualunque fino a quarant'anni, il suo primo lavoro che non riuscì a tenere per più di tre giorni, il colpo di coda a quarant'anni suonati. Si ipoteca tutto, perfino la casa e al diavolo le piccole soddisfazioni da uomo medio. Il passo più grande della gamba, quello che a tutti allora sembrava una follia. Lui non ne vuole sapere, punta al sogno e sogna in grande. A quarant'anni mette in piedi la sua prima compagnia con il chiodo fisso che se perde cade e cade male. Ma la fortuna c'è e gira dalla sua parte. All'inizio di questa estate il riconoscimento più ambito: la regina Elisabetta lo ordina Cavaliere per rendergli merito. Benessere e posti di lavoro da condividere con il suo popolo tanto amato.

«Noi britannici - diceva scaldato dal sacro fuoco del nazionalismo - siamo perfettamente capaci di amministrarci da soli, non abbiamo bisogno che Bruxelles ci dica costantemente quello che dobbiamo fare». E giù applausi. Il miliardario che sposa la causa identitaria piace alla gente ancora in dubbio, che protegge le imprese con la tradizione british. Jim che a voler cercare il capello nell'uovo, aveva già lasciato la sua casa per la Svizzera; era il 2010, in piena lite con il governo laburista, aveva delocalizzato in terra elvetica. Disobbedienza rientrata poi nel 2014 con il cambio della guardia al governo. Con i conservatori al potere è in effetti tutta un'altra musica. Lui scende in pista e balla; inizia il dibattito per l'uscita del Regno dalla Ue, lui sa subito come schierarsi. Vuole risollevare le sorti della gloriosa Land Rover Defender dalla solidissima reputazione, che gli indiani di Tata hanno voluto sacrificare. Lui quella macchina, simbolo dal glorioso sapore colonialista che sfida i confini, che azzarda nuovi orizzonti, la vuole tirare fuori dal fango e restituire il futuro. Ci avevano creduto un po' tutti. Perfino gli scettici, sotto sotto, avevano voluto cullarsi nella favola del milionario che sposa la causa della sua gente e non la tradisce. Invece le valigie sono già pronte.

Dietro ci sarebbe una battaglia legale in Scozia persa. Voleva che si togliesse il divieto del «fracking», una pratica molto discussa per estrarre il petrolio. Ha perso e con lui ora rischiano di perdere le 18mila persone che lavorano per lui.

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