Tregua o escalation verso la guerra totale? Il presidente americano, Donald Trump, sembra propenso a deporre le armi e imboccare la via delle sanzioni. Gli iraniani con i loro missili hanno dato una «dimostrazione di forza» evitando bagni di sangue, il che mostra la determinazione, ma pure la volontà di evitare il peggio. «Le prossime risposte saranno proporzionate a quello che faranno gli Stati Uniti», ha spiegato il ministro della Difesa iraniano Amir Hatami. I Pasdaran, per ora, hanno scelto l'Irak come campo di battaglia. La vera vendetta per l'uccisione del generale Soleimani sarà costringere le truppe Usa a ritirarsi e, se non lo faranno, scatenare le milizie sciite in una lunga e sanguinosa guerriglia, come è già accaduto dopo l'invasione e la fine di Saddam Hussein. Non a caso i capi dei gruppi armati filo iraniani, come Qais al-Khazali, che si è fatto le ossa contro gli italiani a Nassiryah, ha annunciato «l'eliminazione di tutta la presenza militare americana in Irak». Al-Khazali ha spiegato che bisogna vendicare anche l'eliminazione, assieme a Soleimani, di Abu Mahdi al-Mohandes, vice capo delle Unità di mobilitazione popolare, il cartello delle milizie sciite in Irak appoggiate dall'Iran.
Per questo stanno arrivando a Baghdad il grosso dei 3mila uomini dell'82° divisione aviotrasportata spediti come rinforzi dal Pentagono in Medio Oriente. Anche gli ultimi soldati Usa in Siria (circa 800) starebbero ripiegando verso l'Irak per timore di essere troppo esposti ad attacchi.
Gli scenari di un'escalation sono da incubo e sempre dietro l'angolo. Gli Usa, anche se non sembra che lo faranno ora, potrebbero rispondere al lancio dei missili iraniani in qualsiasi momento, colpendo le basi di partenza, tutte in mano ai Guardiani della Rivoluzione, così come l'aviazione. Gli obiettivi prioritari sono la difesa aerea e i missili a lunga gittata, su base tecnologica nord coreana, che possono colpire tutto il Medio Oriente e raggiungere l'Europa. Altri obiettivi preferenziali sono i centri di comando e controllo, soprattutto dei Pasdaran, che hanno 120mila uomini. Le forze armate iraniane superano il mezzo milione di unità.
In caso di escalation i Pasdaran sono stati chiari: «Mettiamo in guardia tutti gli alleati degli americani, che hanno concesso le basi al loro esercito terrorista: ogni territorio che sia punto di partenza dei loro atti d'aggressione contro l'Iran sarà preso di mira». Nel mirino ci sono soprattutto le basi più vicine, dove si concentra il grosso dei militari Usa in Medio Oriente, fra 60mila e 70mila uomini. Il numero più alto di militari è schierato in Afghanistan, che confina con l'Iran, con 14mila unità. È un'area che il successore di Soleimani, il generale Esmail Ghaani, conosce bene per avere combattuto contro i talebani e operato nella parte occidentale del paese con la brigata Al Qods, dove c'è il fortino degli 800 italiani di Herat.
In Qatar ci sono 7mila americani, ma un obiettivo prioritario è il Bahrein con la base della Quinta flotta Usa e 7mila uomini. Anche in Arabia Saudita, rivale storico, ci sono 3mila soldati degli Stati Uniti.
L'eventuale escalation rischia di coinvolgere anche Israele, che ha promesso «di colpire duro» se verrà attaccato dall'Iran. Più che attacchi diretti gli ayatollah potrebbero però preferire scatenare la milizia sciita Hezbollah, che ha già combattuto una furiosa guerra contro lo Stato ebraico. Lo scambio di missili avverrebbe sopra la testa del migliaio di caschi blu italiani, che fanno parte della missione dell'Onu comandata dal generale Stefano Del Col.
Una guerra totale non
conviene a nessuno, tanto meno agli iraniani, che non vogliono inimicarsi tutto l'Occidente e sanno bene come Israele, se fosse veramente con le spalle al muro, avrebbe a disposizione l'arma nucleare per scatenare l'Apocalisse.
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