Da Monti alla Raggi, 7 anni di no

Nel 2012, in piena crisi, saltò «Roma 2020». E poi anche il «2024»

Pier Francesco Borgia

Roma A forza di sacrifici, a forza di rinunce si rischia l'inerzia più assoluta. Si rischia di non crescere più. E di perdere anche l'ultimo treno per la modernità. Le Olimpiadi invernali del 2026 sono l'argomento del giorno e anche la cartina di tornasole per capire la salute (economica) del Belpaese. Ai tempi del rigore imposto dai mercati internazionali e dalla minaccia dello spread era impossibile anche solo immaginare una candidatura per le Olimpiadi. Mario Monti, per esempio, da presidente del Consiglio bocciò l'ipotesi di quel gesto ambizioso: niente candidatura. Era il febbraio del 2012 quando il Paese fu costretto a rinunciare a far correre Roma per le Olimpiadi del 2020. All'epoca sindaco di Roma era Gianni Alemanno e il no del governo fu una doccia fredda contro l'idea di una città che avrebbe voluto rigenerarsi anche grazie a quella candidatura. La motivazione allora era più semplice: le casse dello Stato non possono permettersi il lusso di una spesa di investimenti tanto alta e tanto rischiosa. Monti, infatti, aveva davanti agli occhi i costi di Atene (2004) e Londra (edizione che si sarebbe svolta da lì a pochi mesi). Costi lievitati a dismisura e soprattutto, come nel caso di Atene, senza un reale vantaggio per il Paese. All'epoca anche la Lega si mostrava scettica. «Per una volta - commentò allora Matteo Salvini - sono d'accordo con Monti». Pensare che l'edizione del 2004 fu persa proprio all'ultima selezione. Per il voto, tutto politico della comunità sportiva internazionale.

Anche Virginia Raggi, una volta diventata sindaco della Capitale, ha deciso di moderare le ambizioni della città. E tra i suoi primi atti c'è stata proprio la rinuncia alla candidatura per le Olimpiadi del 2024 (che sono poi state assegnate a Parigi).

La città, diceva la sindaca, ha bisogno di rattoppare le strade e aprire asili nido, altro che Olimpiadi! Per gli asili nido e per le buche ancora si è fatto poco ma intanto il treno olimpico è passato un'altra volta. Anche allora Salvini andò controcorrente difendendo la rinuncia della Raggi: «Meglio così. Stiamo ancora pagando i danni dei Mondiali di calcio del '90 e delle olimpiadi invernali di Torino».

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