Morì incinta, medici a processo

Il pm voleva l'archiviazione, il gip ha disposto l'imputazione coatta

Morì incinta, medici a processo

In reparto, alla clinica Mangiagalli di Milano, tutti hanno ancora ben impressa negli occhi Claudia. Lo scorso anno l'hanno vista morire in pochi minuti tra urla, sangue e atroci sofferenze, senza nemmeno riuscire a portarla dal letto della sua stanza alla sala operatoria. Lei e le gemelline che portava in grembo da 25 settimane, per cui fu inutile anche l'ultimo disperato tentativo di cesareo. Un dolore che, oltre alla famiglia, aveva scosso primari, direttori, medici. Tutti. Incapaci di spiegarsi una tragedia simile. L'inchiesta, condotta dal pubblico ministero Maura Ripamonti, era stata archiviata. Ma ora arriva il colpo di scena e le carte verranno nuovamente esaminate. A deciderlo è stato il gip Stefania Donadeo che ha voluto riaprire il caso e ascoltare la richiesta degli avvocati della famiglia di Claudia Bordoni: Antonio Bana e Antonio Sala Della Cuna.

Il gip ha disposto l'imputazione coatta con la richiesta di rinvio a giudizio per la ginecologa e le due ostetriche accusate di omicidio colposo. Sotto indagine c'era anche una psichiatra ma è l'unica per cui è stata disposta l'archiviazione. La specialista, quel maledetto 28 aprile, era stata chiamata nel reparto di Patologie della gravidanza per una consulenza psichiatrica, visto lo stato di forte agitazione di Claudia, in preda a forti dolori e inconsolabile. In sostanza, il caso si riapre perché forse Claudia Bordoni e le due gemelline che portava in grembo potevano essere salvate. Sarebbe stato necessario, però, intervenire tempestivamente con un taglio cesareo. Lo ha scritto il consulente tecnico veronese, Dario Raniero, incaricato dalla procura di Milano di far luce sulla morte della manager 36enne, origini valtellinesi ma milanese di adozione. Secondo il consulente del pubblico ministero, la mattina del 28 aprile, se la ginecologa avesse approfondito i sintomi che si erano manifestati dolori insopportabili al ventre, cali di pressione e svenimenti avrebbe individuato la causa dell'emorragia e con un taglio cesareo, avrebbe potuto salvarla. I medici della clinica, che dopo la morte della ragazza si erano confrontati in ore ed ore di riunione, non riuscivano tuttavia a venire a capo del problema. Dopo l'autopsia si era ipotizzata la presenza di un'endometriosi molto nascosta e difficile da diagnosticare. Bisognerà ora capire se realmente c'erano i margini per intervenire o no.

Claudia, prima del ricovero in Mangiagalli, era reduce da altri due ricoveri: a Busto Arsizio e al San Raffaele. Ma dalle visite non erano emerse situazioni preoccupanti e da entrambi gli ospedali la ragazza era stata dimessa.

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