Napolitano torna a casa E ci lascia le riforme bloccate nel pantano

Le dimissioni, poi le lacrime alla cerimonia nel cortile del Quirinale E l'amarezza per il processo di cambiamento rimasto incompiuto

G iorgio il freddo si squaglia all'ultimo metro del tappeto rosso. Sì, proprio lui, l'uomo di ghiaccio, il politico algido e distaccato, «l'inglese», come lo chiamavano ai tempi della Camera perché capace di controllare sempre le parole e le emozioni, proprio King George , adesso che se ne deve andare, all'ultimo minuto del suo secondo mandato, piange.

A mezzogiorno è tutto fatto. Le lettere di dimissioni sono state consegnate, la Lancia Thema ha lo sportello aperto, la banda dei corazzieri ha suonato l'inno, la bandiera presidenziale è stato già calata dal Torrino. E a due chilometri di distanza, in giacchetta sfidando il clima rigido, il supplente Grasso ha raggiunto a piedi il «piccolo Colle» di Palazzo Giustiniani. Non resta che infilarsi in macchina e tornare a casa, invece Napolitano si ferma e si lascia andare a gesti per lui inconsueti: abbraccia i consiglieri, li carezza, li bacia. E piange.

Lacrime sobrie, in stile con il personaggio, non singulti alla Cossiga. Ma dietro la composta commozione presidenziale c'è il senso di un lavoro lasciato metà, l'idea di un Paese che forse è politicamente meno allo sbando rispetto alla primavera del 2013 quando ha accettato il secondo mandato, però non è ancora guarito. Napolitano se ne va e l'Italia resta due settimane con il fiato sospeso, in attesa della partita doppia, riforme ed elezione del successore.

Un'uscita di scena sobria, cadenzata, da tempo annunciata, la più morbida possibile, con un cerimoniale previsto fin nei minimi particolari. Alle 10,35 la firma, nello studio alla Vetrata, poi ecco Donato Marra che parte per consegnare ai presidenti delle Camere e al premier il decreto, poi lo si vede tornare. Verso mezzogiorno, Re Giorgio spunta nel cortile d'onore pieno di pennacchi, cavalli, corazzieri in alta uniforme, si mette sugli attenti, ascolta l'inno, riceve lo stendardo presidenziale, piange e se ne va.

Una regia sommessa. L'idea è che sia un giorno normale, come gli altri. Eppure nelle ultime telefonate dal Colle, e nelle prime da vicolo dei Serpenti, vengono a galla le preoccupazioni, emerge il timore che la sede vacante possa rallentare le riforme. Ma Napolitano, così dice ai consiglieri, spera che Renzi «tenga duro». Chi gli parla in queste prime ore della sua second life , lo trova bene, sereno ma affaticato. «L'ho visto felice perché dopo nove anni si riappropria della sua vita», racconta Emanuele Macaluso. Un altro amico storico, Gianni Cervetti, ha notato un filo di insofferenza: «L'hanno fatto soffrire certe incomprensioni. Non hanno capito che il suo intervenire, a tratti costante e massiccio, non è stato frutto di un capriccio».

Chiamano o scrivono Obama, Hollande, Juncker. Chiama Matteo Renzi, che lo ringrazia e lo rassicura su tempi dell'Italicum. Chiamano alcuni amici e nelle parole di Napolitano intercettano sentimenti contrastanti, un misto tra l'amarezza di un abbandono che lascia alcune cose e metà e la lucida consapevolezza dei limiti fisici e dell'età. Chiamano altri e colgono un pizzico di insoddisfazione perché, come spiega lui stesso, quando ha accettato il bis sperava che le riforme avessero dei tempi più rapidi. Servirà quindi un suo «supplemento di impegno» al Senato.

Intanto «tornare a casa è già una vacanza». Vicolo dei Serpenti è a 150 metri dal Colle, dall'angolo si vede il Quirinale. Napolitano trova un quartiere in attesa. Mimmo il barbiere, che gli ha tagliato i capelli il 31 dicembre, dice che «è molto affabile e scherza con i bambini».

Un vicino è contento perché «ora ci sarà più sicurezza». Al forno aspettano che la signora Clio «venga a comprare il pane». Sabato festa grande in piazza della Madonna dei Monti, dolci e musica classica. Ma lui verrà? «Sì, verrà».

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