La nuova minaccia della Cina agli Usa "Pronti a prendere Taiwan con la forza"

Pechino: assumeremo le misure necessarie, sì all'ipotesi militare Tensione con gli Stati Uniti, favorevoli all'indipendenza dell'isola

La nuova minaccia della Cina agli Usa "Pronti a prendere Taiwan con la forza"

La Cina non demorde su Taiwan ed è pronta ad usare la forza per la «riunificazione». Non lascia dubbi il discorso del presidente Xi Jinping (nella foto), sull'isola ribelle che Pechino considera una sua provincia. «L'indipendenza di Taiwan è un vicolo cieco», ha esordito il mandarino comunista parlando con pericolosa chiarezza. «Il nostro Paese è in forte crescita, la nazione si sta ringiovanendo e l'unificazione tra le due parti dello stretto è una grande tendenza della storia», ha assicurato il presidente cinese da Pechino.

L'obiettivo finale, più che unire è assoggettare Taiwan sotto l'ambigua formula «un paese, due sistemi». Xi sostiene che «sistemi differenti non sono un ostacolo all'unificazione e ancora meno una scusa per il separatismo». Secondo il capo dei mandarini comunisti la «proprietà, le fedi religiose e i legittimi interessi dei compatrioti taiwanesi saranno pienamente assicurati». Peccato che l'isola ribelle sia una democrazia e il sistema cinese continui a essere guidato dal partito unico comunista, che interpreta come vuole il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Lo dimostrano le manifestazioni di protesta ad Honk Kong contro la repressione e il controllo di Pechino.

L'aspetto più minaccioso del discorso di Xi riguarda l'uso della forza rivolto sopratutto al rivale americano, che da sempre difende Taiwan. «Non promettiamo di rinunciare all'uso della forza» per recuperare l'isola «e ci riserviamo il diritto di assumere tutte le misure necessarie», ha dichiarato il presidente cinese. La platea composta in gran parte da funzionari governativi e militari è scattata nell'applauso più fragoroso di tutto il discorso. Xi ha poi specificato che la forza «potrebbe venire usata contro forze esterne», che interferissero nell'unificazione in questo caso molto simile ad una violenta annessione.

Il discorso è stato pronunciato nel quarantesimo anniversario del cambio di riconoscimento diplomatico americano da Taiwan a Pechino. Dal 1949, quando Mao stravinse sulla terraferma, i resti delle armate di Chiang Kai-shek si ritirarono nell'isola senza mai riconoscere il regime comunista. Gli Usa continuano a difendere lo status quo con forniture di armi e il cappello della Settima flotta del Pacifico. Lo scorso anno il Pentagono ha inviato tre volte le navi da guerra nello stretto di Taiwan per mostrare i muscoli. E negli ultimi giorni del 2018 Trump ha firmato la nuova legge che punta a contrastare la potenza militare cinese in Asia con un capitolo che riguarda Taiwan.

Non a caso dalla capitale Taipei, la presidente Tsai Ing-wen ha ribadito che «Taiwan non accetterà mai il principio un paese, due sistemi. La maggior parte della popolazione è fermamente contraria». Per assurdo sono proprio i politici all'opposizione del Kuomintang, partito che fu guidato da Chiang Kai-shek, a volere un accordo con la Cina. I progressisti di Tsai hanno perso le elezioni locali di novembre nella grande città e la presidente ha dovuto dimettersi da capo del partito. Pechino punta su queste divisioni e sulla forza diplomatica e militare.

La Cina ha in cantiere la terza portaerei, e ha superato il Pentagono con 317 navi da guerra e sottomarini rispetto alle 283 Usa.

I mandarini comunisti stanno riformando le forze armate puntano di più sulla Marina, le forze missilistiche e quelle anfibie cruciali per sbarcare a Taiwan. Lo stesso ammiraglio della Settima flotta, Philip Davidson, ha dichiarato che «la Cina è ora in grado di controllare il Mar Cinese meridionale in tutti gli scenari di una guerra con gli Stati Uniti».

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