Ora la Mela rischia una botta fino a 20 miliardi

Gli Usa: «Questa è una minaccia». E il Congresso accelera sulla riforma del sistema fiscale

Ora la Mela rischia una botta fino a 20 miliardi

Cinzia Meoni

Sale il conto per Apple condannato martedì da Bruxelles a restituire a Dublino 13 miliardi di euro di tasse non pagate. Per gli esperti di Cnbc la sanzione potrebbe addirittura toccare quota 20 miliardi di dollari. E a riserva, secondo quanto finora trapelato, il colosso hi-tech Usa avrebbe previsto solo 9,1 miliardi, per tutte le incognite legali a livello globale.

Apple ha tuttavia ribadito di non aspettarsi «un impatto ui risultati finanziari a breve termine», specificando poi di aver pagato tasse pari a 400 milioni di dollari solo nel 2014. Per di più Tim Cook, capo azienda di Copertino, ha al momento un altro tema scottante da affrontare: la presentazione dell'iPhone 7, attesa il 7 settembre, da cui dipendono i futuri profitti del gruppo.

Wall Street non sembra preoccupata più di tanto. Ieri il titolo traccheggiava sulla parità (alle 20.15 ore italiane Apple saliva dello 0,4% a 106,3 dollari). Tutto sommato, per gli investitori, potrebbe persino valere la pena pagare la somma richiesta pur di lasciare parcheggiata nell'isola smeraldo una liquidità che, secondo le stime, si arresta a 216 miliardi di dollari a costo zero, in attesa che il nuovo presidente Usa vari l'attesa riforma per il rientro dei profitti a un tasso di favore. La normativa, che potrebbe essere accelerata dopo la maxi-stangata inflitta da Bruxelles a Apple, riguarda all'incirca 2mila miliardi di dollari di profitti generati da aziende Usa oltreconfine e attualmente depositate all'estero. Il carico esplosivo, per ora, è essenzialmente a politico. Gli Stati Uniti gridano allo scandalo. Solo il New York Times si è speso a favore della legalità della maxi-multa.

Il quotidiano, dopo aver bollato come «aggressiva» la via percorsa da Apple per pagare meno tasse possibili, ha sostenuto che la soluzione «non sta nel dichiarare una guerra fiscale all'Europa», ma nelle mani legislative del Congresso.

A Washington, però, i toni si sono alzati e si è parlato apertamente di leggi «retroattive», per di più «concentrate sulle aziende americane». Lo ha dichiarato Jack Lew, segretario al Tesoro americano, secondo cui: «Tutto ciò rappresenta una minaccia per le aziende internazionali che operano in Europa perché crea incertezza e, alla fine, non farà bene all'economia europea». Parole che echeggiano quelle pronunciate da Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca, secondo cui addirittura «è possibile che il tipo di pagamenti contemplati dalla decisione della Ue siano un puro trasferimento di entrate dai contribuenti Usa alla Ue». A Dublino il governo rischia di spaccarsi. Il ministro delle Finanze Michael Nooan ha parlato di «profondo disaccordo» sul giudizio della Commissione, annunciando l'intenzione di ricorrere in appello. Ma la posizione potrebbe non essere condivisa persino all'interno della coalizione di governo. Per la Repubblica irlandese i 13 miliardi rappresentano un quarto della spesa pubblica annuale e la tentazione, potrebbe essere irresistibile. Tanto più che un portavoce della commissaria Ue Margrethe Vestager ha chiarito che la somma recuperata da Dublino potrà essere impiegata liberamente.

I quotidiani londinesi intanto tifano per l'addio di Apple all'Irlanda e tentano il colosso Usa con la promessa di un colpo di forbici all'aliquota fiscale in caso di trasloco nella City. «Di fronte a questo nonsense, si comprende il senso della Brexit» concludono gli inglesi.

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