Ora è rebus successione per un tesoro da 6 miliardi

Il patron poche settimane fa ha invitato i fondi a farsi avanti. Spunta l'ipotesi di quotare il gruppo in Borsa

L'imprenditore Bernardo Caprotti, patron di Esselunga
L'imprenditore Bernardo Caprotti, patron di Esselunga

Inizia la partita per scrivere il destino di Esselunga, un gigante che vale almeno 6 miliardi di euro e che dà lavoro a 22mila dipendenti. A poche ore dalla scomparsa del suo fondatore Bernardo Caprotti, che due settimane fa aveva sostanzialmente messo in vendita l'impero, ci si chiede come potrà andare a finire. E, alcuni osservatori, a questo punto, non escludono che l'approdo più semplice possa essere un approdo sul listino di Piazza Affari, qualora gli eredi non trovassero un accordo per passare la mano o volessero comunque mantenere un piede in azienda.

Esselunga, interpellata, preferisce non commentare circa l'esistenza di un qualche istituto giuridico - come un trust o un'apposita fondazione - atta a facilitare la successione. Quel che noto è che, visto i rapporti tesi con i tre figli, da tempo esclusi da un ruolo operativo in azienda, Caprotti il 12 settembre aveva preso in esame un'ipotesi prima mai considerata: la vendita di Esselunga, costituita nel 1957 in partnership tra l'altro con Rockfeller (da cui l'imprenditore italiano aveva poi riacquistato le quote) e portata, in sessant'anni di attività, a un giro d'affari di 7,3 miliardi di euro. Visti gli scontri in corso nella famiglia Caprotti - già peraltro sfociati in cause legali - l'eventuale vendita della catena dei supermercati, avrebbe infatti potuto garantire al gruppo un futuro in mani sicure.

Con il mandato a Citi di esaminare le offerte fatte pervenire dai fondi Blackstone e da Cvc Capital Partners per l'icona della grande distribuzione italiana, Caprotti aveva di fatto messo in vendita la società. Formalmente, come ribadito in quell'occasione dall'azienda, non si trattava comunque di un mandato a vendere. Ma al mercato non era sfuggito che, per la prima volta, Esselunga si avvaleva di un consulente finanziario nonostante anche in passato, fosse stata una preda ambita tanto che, dodici anni fa, si era mosso perfino Wal Mart, il gigante della distribuzione a stelle e strisce. A quel tempo tuttavia Caprotti, senza necessità di alcun advisor aveva rispedito la proposta al mittente.

In corsa per il colosso della grande distribuzione italiana ci sarebbero al momento, almeno tre fondi di private equiy. Oltre a Blackstone e a Cvc, negli ultimi giorni, si sarebbe infatti fatto avanti anche Bc Partners; la stessa Investindustrial di Andrea Bonomi sarebbe alla finestra pronta a scendere intervenire. Resta poi da capire quali saranno i prossimi passi dei big della grande distribuzioni internazionale: oltre appunto a Wal Mart, anche i francesi Mercandona , Carrefour e l'inglese Tesco, da soli o in cordata.

In questi anni c'è sempre stata la fila di pretendenti per Esselunga, nonostante valutazioni non proprio a sconto visto che i 6 miliardi, che sarebbero la base di partenza della trattativa con i fondi, si traduce in 10 volte circa il margine operativo lordo, ben al di sopra dei livelli della francese Carrefour che, in Borsa vale 7 volte il mol.

Ma, d'altro canto, Esselunga con un giro d'affari pari, nel 2015, a 7,3 miliardi (in crescita del 4,3% rispetto all'esercizio precedente), un margine operativo lordo di 625 milioni (+20%) e un utile netto di 290 milioni (+37%) è un gioiellino e per di più porta in dote un brand icona della gdo italiana e della rinascita del Dopoguerra con i suoi 153 punti vendita, nel redditizio Centro- Nord Italia.

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