Roma«Mi auguro che la magistratura e la Consob facciano chiarezza» e spero che i risultati arrivino «il più presto possibile», ma comunque «non sono per nulla preoccupato». Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ieri a Radio 24 ha cercato di tranquillizzare l'opinione pubblica. «Non credo che la speculazione sia stata un effetto del decreto» di riforma delle banche popolari, che prevede la trasformazione in spa per le maggiori.
Eppure quegli improvvisi rialzi a Piazza Affari che hanno determinato, secondo la Consob, plusvalenze stimabili in almeno 10 milioni di euro, soprattutto su Banco Popolare e Bpm, stanno continuando a sollevare numerosi dubbi e a interrogare la classe politica, l'Authority e la magistratura sulla necessità di procedere d'urgenza su una materia delicata che riguarda società quotate. E più questi approfondimenti procedono tanto più il governo pare voler recedere dall'intento originario, ossia spazzare via le classi dirigenti locali - vero centro di potere delle Popolari - per imporre pienamente la legge del mercato.
«L'obiettivo del decreto - ha aggiunto Padoan - non è salvare le banche popolari, ma rafforzarle con una governance più adatta al mercato globale». E comunque, ha assicurato, «il legame delle banche popolari con il territorio è un valore che sarà salvaguardato». Non sono parole a caso perché il ministro ha toccato due punti critici dell'impianto legislativo che Palazzo Chigi intendeva varare.
In primo luogo, la trasformazione in spa sembrava studiata a tavolino per consentire il salvataggio di alcuni istituti come la Banca Etruria, popolare della quale prima del commissariamento era vicepresidente Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme. E, soprattutto, quel decreto arriva ad hoc nel momento in cui le banche che non avevano passato gli stress test della Bce, Mps e Carige, hanno bisogno di un partner per sopravvivere. E proprio il voto capitario (una testa un voto indipendentemente dalla quota posseduta) rappresentava l'ostacolo a fusioni salvifiche. In fondo lo ha confermato in qualche modo lo stesso Padoan affermando che «qui si tratta innanzitutto di incoraggiare eventualmente aggregazioni interne, i capitali ci sono». Un incoraggiamento ben distante dall'obiettivo dichiarato di «rafforzare» la governance .
Lo stesso discorso vale per il «legame con il territorio», antitetico ai proclami di Renzi contro i «signorotti» locali che avevano combinato pasticci. Anche se è un tecnico, Padoan ha imparato bene l'arte della politica: si può affermare tutto e il suo contrario purché si conservi un'apparente coerenza.
C'è anche un terzo indizio. «L'idea che il governo abbia in mente misure che possano danneggiare le banche italiane a favore delle banche estere è francamente una caricatura», ha ribadito il ministro. In questo caso la logica si scontra con la retorica. Ammesso e non concesso che le fusioni avrebbero potuto salvaguardare l'«italianità» di alcune popolari diventate spa, è indubbio che al momento i grandi gruppi esteri (per quanto poco propensi ad assumersi il rischio-Italia) siano quelli maggiormente in condizione di realizzare acquisizioni.
È l'anno di fondazione di Banca Etruria, che conta 186 filiali in otto Regioni con circa 1900 dipendenti
È il rischio finanziario delle banche italiane, mentre quello francese e tedesco va dal 25% al 70%
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