Pd in frantumi sulle primarie con lo zampino di D'Alema

L'ex premier ammicca a Vendola e vira a sinistra. E la disfida interna tra renziani e "tradizionalisti" si gioca nel voto per scegliere i candidati governatori

Pd in frantumi sulle primarie con lo zampino di D'Alema

Roma - Addio, caro mercato. Un tuffo nel passato, una epifania di gioventù, un ritorno a parole d'ordine antiche. Massimo D'Alema in un giorno di fine novembre dell'anno 2014 archivia la «Terza Via», celebra il divorzio tra socialismo e liberalismo e torna ad accendere a dimensioni cubitali la parola «Stato», come un Nichi Vendola o un Fausto Bertinotti qualsiasi.

Il terreno di gioco di questa sortita è una intervista al Corriere della Sera . Titolo: «Renzi lasci la Terza Via. Bisogna riscoprire lo Stato». Svolgimento: «La Terza Via è un'esperienza di 15 anni fa. Allora diede i suoi frutti, anche nel nostro Paese», ma «fu pensata in una prospettiva ottimistica della globalizzazione, che si è rivelata fallace». Una critica, quella alla politica economica messa in campo negli anni '90 e al tentativo di conciliare il capitalismo liberale e il socialismo democratico, che appare immediatamente come un effetto collaterale del «renzismo», il frutto dell'insofferenza verso un approccio, quello del «Rottamatore», che tende a schiacciare su di sé l'esperienza e le anime del Pd. Fatto sta che l'accusa di voler riportare indietro il Paese di 20 anni - alla stagione in cui Romano Prodi, con lo stesso D'Alema riceveva a Firenze i vari Bill Clinton, Tony Blair e Lionel Jospin e tutti i dirigenti della sinistra italiana da Walter Veltroni a Francesco Rutelli fino a Enrico Letta andavano in processione a Londra per farsi benedire dal New Labour - sembra ritorcersi contro chi, come D'Alema, sembra offrire come alternativa una regressione non a 20 ma a 40-50 anni fa.

Fatto sta che questa nostalgia di programmazione, piani decennali, partecipazioni statali tocca corde care alla sinistra Pd e a Sel. Offre una piattaforma politico-culturale per un soggetto che si identifichi nei vari progetti «ulivisti» e alle gioiose macchine da guerra di un tempo. E costruisce uno scivolo verso «Human factor», la convention in programma a fine gennaio che come obiettivo quello di far confluire le varie anime in polemica dentro e fuori il Pd, unite dalla battaglia contro il Jobs Act. Un nodo in più da sciogliere per Renzi nel giorno in cui, peraltro, si riunisce la corrente degli ex bersaniani di «Area Riformista» che può contare su 70 parlamentari tra cui 30 senatori e in cui si infittisce lo scontro tra le varie anime sulle primarie pugliesi, dove il coinvolgimento dell'Udc sta suscitando malumori nella sinistra vendoliana. La scelta dei candidati alle regionali di primavera rischia di creare un'altra linea di demarcazione tra il renzismo e i suoi avversari. In Veneto non sarà facile battere il governatore leghista Zaia e in più c'è il timore dell'effetto Emilia, con le astensioni che penalizzerebbero soprattutto la sinistra. Tanto che Alessandra Moretti si chiede se sia meglio perdere o vincere alle primarie di oggi contro Simonetta Rubinato e Antonino Pipitone. Il timore è che il candidato di Renzi venga tradito e abbandonato da tutte le correnti «tradizionaliste» per una sorta di disfida interna. Insomma, pur di vedere indebolito il premier non dispiacerebbe ai suoi avversari di partito colpirlo sul territorio. È una strategia se si vuole autolesionista, con un doppio fronte: dissidenza in Parlamento e polvere negli ingranaggi nel voto regionale. È un atto di cinismo dove qualcuno vede il marchio di D'Alema.

Sullo sfondo inevitabile leggere le parole del lìder maximo in filigrana rispetto alla grande corsa

verso il Quirinale. Un recupero di centralità destinato, chissà, a rafforzarne una eventuale candidatura. O a costruire per uno dei massimi protagonisti della storia recente della sinistra italiana un ruolo da «king-maker».

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