Da tempo nei Palazzi milanesi si mormorava che «Giuliano Pisapia non c'ha il fisico». Alludendo non solo (e non soprattutto) alla fatica del lavoro da sindaco. Veleni dentro il Pd, quel partito ingrato a cui l'avvocato ultrarosso aveva regalato nel 2011 un'insperata vittoria contro Letizia Moratti, ma che alla fine non è mai riuscito ad amarlo. Perché Pisapia, va riconosciuto, nell'arancione della sua lista si è saputo testardamente ritagliare un suo spazio d'autonomia. Di pensiero e d'azione. Ieri in una conferenza stampa convocata all'improvviso, l'annuncio del gran rifiuto alla ricandidatura. Quello che ormai in molti si aspettavano e che soprattutto in molti nel centrosinistra aspettavano con una certa cupidigia. Perché la virata centrista (forse democristiana) di Matteo Renzi al partito, ha messo in fuorigioco proprio quei sindaci «rossi» come Marco Doria a Genova e Massimo Zedda a Cagliari. Gente eletta sull'onda dell'entusiasmo per il successo di Pisapia e che per un momento ha raccontato di voler portare tutto il Paese verso l'estrema sinistra, magari griffata Nichi Vendola. Già archeologia politica naufragata sugli scogli di una certa incapacità ad amministrare, vedi le alluvioni a Genova, le crisi occupazionali a Cagliari che non migliorano e l'immobilismo di Pisapia a Milano.
Ed erano già pronti i maramaldi a chiedere a lui e al Pd con una fin troppo facile ironia che cosa avrebbero inserito nel depliant elettorale con le cose fatte per chiedere di nuovo il voto. Sarebbero bastate forse un paio di paginette con il registro delle coppie di fatto, la pubblicazione dei matrimoni omosessuali celebrati all'estero (e dichiarati illegittimi dal ministero) e la gay street inaugurata sabato in via Sammartini. Perché poco, molto poco Pisapia ha fatto per quell'Expo ricevuta in eredità dalla Moratti e che non gli è mai piaciuta. Per il resto solo eredità come il bike e il car sharing e nastri tagliati per metropolitane e grattacieli messi in cantiere da Gabriele Albertini. Uno che in soli nove anni costruì tre depuratori e il teatro degli Arcimboldi, le metropolitane e rifece la Scala e interi quartieri come Porta Nuova, CityLife e Santa Giulia. E senza aver bisogno di prendere lezioni di legalità dalla sinistra, visto che insieme al vicesindaco Riccardo De Corato seppe spendere 5 miliardi di euro in opere pubbliche non solo senza una condanna, ma senza nemmeno un avviso di garanzia per sé e per i suoi assessori.
Un vuoto amministrativo che farà implodere quell'alleanza tra Pd, «arancioni» e vendoliani, cattolici e associazionismo di sinistra, centri sociali violenti e no global il cui unico collante è stato l'assalto al Palazzo. Lucidissimo l' archistar Stefano Boeri, lo sconfitto del Pd alle primarie che pur augurandosi che «Milano non perda il suo contributo culturale e politico», non può non ricordare di avere con lui «condiviso i momenti bellissimi della campagna elettorale», ma anche «gli aspri conflitti successivi, soprattutto riguardo a Expo e alla visione della Milano che sarà». Non roba da poco. Altrettanto decisivo un Pisapia che proprio ieri dice di non credere «che le primarie siano un totem, ultimamente hanno perso un po' di credibilità». Un regalo al Renzi style in cambio di una candidatura (questa sì gradita) come giudice della Corte costituzionale o a un ministero. La guerra a sinistra è già cominciata. E non riguarderà solo Milano. Perché come da qui è partito l'assalto al governo Berlusconi, proprio da qui potrebbe cominciare la ritirata. Sempre che il centrodestra sappia trovare (e presto) un buon candidato.
di Giannino della Frattina
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