Cronache

Presunti abusi sulla figlia: da rifare il processo al padre

Il caso dell'imprenditore condannato a 7 anni e mezzo senza prove certe. Ora la Corte d'appello riapre il caso

Presunti abusi sulla figlia: da rifare il processo al padre

Una condanna che non convince. Come il Giornale aveva denunciato con una serie di articoli nei mesi scorsi. Per questo la corte d'appello di Brescia accoglie l'istanza di revisione e riapre il caso di Giovanni, nome di fantasia di un imprenditore del Nord, stangato in via definitiva con sette anni e mezzo di carcere per abusi sulla figlioletta. Il Giornale aveva raccontato per primo la storia e aveva messo in dubbio quella sentenza così pesante e così fragile. Poi, a sorpresa, nel corso di un convegno scientifico all'Università di Milano Bicocca, la presidente del collegio di Cassazione che aveva ratificato quel verdetto aveva rilanciato quei punti di domanda ad alta voce con una dichiarazione sconcertante: «Se nel ricorso in Cassazione fossero state fatte le eccezioni che ha fatto il dottore», il pediatra Vittorio Vezzetti, «naturalmente avrebbero avuto un esito diverso». Sembrava finita con quelle affermazioni choc.

A dicembre, dopo un ultimo passaggio tecnico in corte d'appello, la condanna di Giovanni era diventata irrevocabile. E lui era scappato per non finire in cella. Oggi, a sorpresa, la corte d'appello di Brescia accoglie le obiezioni messe in fila dal Giornale. E sospende l'ordine di carcerazione mai eseguito. Un fatto rarissimo. Bilanciato solo in minima parte dal divieto per l'imprenditore, in vista del nuovo procedimento, di avvicinarsi al Comune in cui risiedono l'ex moglie e la figlia.

Tanti, troppi gli elementi che non quadrano. La piccola sarebbe stata violentata addirittura con una torcetta quando aveva solo due anni e i genitori si stavano separando in un clima di grandissima tensione. Una coincidenza sospetta: anche perché è proprio la mamma nell'estate del 2010 a coltivare i primi sospetti. Ed è una pediatra amica, dopo una visita, ad affermare che la piccola potrebbe essere stata vittima di un abuso. Più tardi la dottoressa ammetterà di non aver mai trattato nella sua carriera le violenze sessuali, tema a lei sconosciuto. Non solo: la bambina viene sentita nel corso di un incidente probatorio ma non punta il dito verso il padre, contro cui si scagliano solo l'ex moglie e la suocera. L'inchiesta sembra sul punto di arenarsi.

Non solo. Siamo dentro una vicenda ad alto tasso di conflittualità che imporrebbe una dose supplementare di prudenza. Invece si procede con una certa disinvoltura e si fabbrica una condanna che scricchiola, confezionata senza seguire i rigidi protocolli scientifici studiati apposta per evitare gogne facili e equivoci drammatici.

Eccoci al punto dolente. I giudici trovano il modo di superare lo stallo: nominano un perito che dovrebbe valutare il grado di maturità della presunta vittima. L'uomo ascolta la bambina più volte, sempre alla presenza della madre. Scrive la sua relazione ma aggiunge un dettaglio clamoroso: nel corso di uno di quei colloqui la piccola si sarebbe aperta descrivendo le mostruosità compiute dal papà, persona peraltro senza alcun precedente.

Su queste basi si costruisce una condanna che regge fino alla Suprema corte. Sette anni e mezzo di carcere, più un marchio indelebile di infamia. Nemmeno le parole esplosive del presidente Squassoni fermano l'apparato giudiziario.

Ma a sorpresa lo psicologo che aveva raccolto le rivelazioni della minore, peraltro non registrate, finisce nei guai per i metodi seguiti. Qualcosa non torna nel modo in cui ha svolto il suo delicatissimo compito. Di più. L'Ordine della Lombardia gli infligge una sanzione e nel corso di quel procedimento disciplinare accade l'inimmaginabile: lo psicologo in sostanza ritratta. La bambina non gli aveva confidato un bel niente.

L'avvocato Cataldo Intrieri gioca subito la carta della revisione. E Brescia la prende sul serio. Forse Giovanni non è un orco, come si dice in questi casi, ma la vera vittima di questa terribile pagina.

Fra qualche mese il nuovo verdetto che potrebbe restituire al padre l'innocenza perduta.

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