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Quanta malafede sullo scoop di "Qn"

Chi tocca il Vaticano, i cardinali, le gerarchie in genere è come se si aggrappasse ai fili dell'alta tensione: ci lascia le penne

Quanta malafede sullo scoop di "Qn"

Chi tocca il Vaticano, i cardinali, le gerarchie in genere è come se si aggrappasse ai fili dell'alta tensione: ci lascia le penne. Esaminiamo la storia pubblicata dal Quotidiano Nazionale (Resto del Carlino, Nazione e Giorno, proprietario Andrea Riffeser) e subito giudicata una bufala. Essa raccontava che Papa Francesco è affetto da tumore benigno al cervello e che era stato visitato in clinica da un medico giapponese.

Vero o falso? Non siamo in grado di accertarlo e dobbiamo attenerci alle versioni ufficiali. Il portavoce di Bergoglio nega la fondatezza della notizia. L'editore Riffeser ne ribadisce la veridicità, confermando piena fiducia al direttore responsabile Andrea Cangini; mentre Bruno Vespa, direttore editoriale del gruppo, si chiama fuori dalla vicenda affermando di non avere alcun dominio su quanto pubblicato dalle varie testate facenti capo al gruppo bolognese.

Impossibile stabilire chi abbia ragione e chi torto. Riusciamo a fare soltanto alcune osservazioni. Non appena l'articolo dello scandalo (scandalo si fa per dire) è comparso sul Qn , si è scatenata una sorta di corsa, da parte di tutta la stampa concorrente (gran parte della quale conformista), a smentirne il contenuto. Parole ispirate a indignazione: ma quando mai, il Pontefice sta benissimo, scoppia di salute, i quotidiani di Riffeser hanno preso un granchio, chi li ha ingannati? Da notare che i pezzi «incriminati» avevano un'impronta prettamente cronachistica, narravano in modo circostanziato come qualmente fossero state raccolte le informazioni attinenti alla salute del Santo Padre. Tra l'altro, specificavano che il tumore attribuito a Francesco non fosse maligno, bensì benigno. Praticamente una cisti, nulla di incurabile.

Ora, personalmente mi auguro di non avere mai un cancro, ma se proprio mi dovesse aggredire, spero proprio che sia benigno, cosicché me ne libererei senza rischiare di finire al cimitero, luogo da evitarsi con cura. I censori - la totalità dei pennini italici - si sono scagliati contro i colleghi del gruppo felsineo, accusandoli di essere stati strumenti di un complotto organizzato da misteriosi individui. Nel nostro Paese quando non si sa come interpretare un fatto, ci si affretta a gridare al complotto. In questo caso, quale sia il vantaggio ottenuto da eventuali complottisti lo si ignora, né si è in grado di ipotizzarlo.

In realtà, qui siamo di fronte a una indiscrezione che forse viola la privacy del Papa. Se di questo in effetti si tratta, Bergoglio ha il diritto di querelare e avere giustizia. Se ciò non avviene, sorge il sospetto che egli e i suoi consiglieri tendano a silenziare la questione. Perché? Quanto non si riesce a digerire è la furia dei media che, prima ancora di verificare se le fonti del Qn fossero o no attendibili, hanno sposato la tesi del Vaticano a occhi chiusi, come se il cupolone fosse depositario del verbo.

Il medico giapponese ha smentito di aver diagnosticato il tumore; la sala stampa di San Pietro sostiene che è tutta una balla. Ok. Ne prendiamo atto. Ma le rettifiche spesso sono scontate, pilotate in base a un senso di opportunità. Così come è prudente non bere d'un fiato le rivelazioni del Qn , così è prudente non bere le correzioni della Santa Sede e di coloro che condannano lo scoop, declassandolo a bidone.

L'unico modo serio per fare chiarezza - posto che chiunque può sbagliare - è quello di tirare fuori le carte. In tribunale. Perché non lo si fa? C'è qualcosa da nascondere? Varie settimane orsono l' Espresso divulgò la fantomatica intercettazione telefonica di una conversazione tra il governatore della Sicilia, Crocetta, con il proprio medico, in cui quest'ultimo avrebbe detto che la figlia del defunto giudice Borsellino andava uccisa. Scoppiò un pandemonio. Ma l'intercettazione non è mai stata trovata e i giornalisti debenedettiani saranno processati. Nessun redattore si è stracciato le vesti. Adesso, invece, per stigmatizzare il presunto errore dei giornalisti di Riffeser, tutti sparano su di loro.

Inspiegabile se non con la malafede.

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