Quelle ballate fra beat e Tucidide sempre dalla parte dei perdenti

Da «Blowin' in the Wind» a «Like a Rolling Stone», il suo repertorio è un romanzo

Quelle ballate fra beat e Tucidide sempre dalla parte dei perdenti

Tom Paxton, patriarca della scena folk del Greenwich Village, sulle prime liquida Blowin' in the Wind come una canzone «lista della spesa», ma Bob Dylan già vola alto con brani apocalittici come A Hard Rain's A-Gonna Fall, (tratto dall'ispirato Freewheelin'), la canzone creata sulla formula domanda-risposta della antica ballata anglosassone Lord Randal, che subito lo consacra poeta nella tradizione di Walt Whitman e Hart Crane. Nell'ultima strofa Dylan, alle domanda del suo interrogatore «cosa farai adesso?», risponde che continuerà ad andare in giro per il mondo a difendere i diritti nonostante quella «terribile pioggia», nelle profondità della foresta più oscura dove gli uomini stanno a mani vuote, dove l'acqua è piena di veleni. Dylan ha letto molto, soprattutto la storia, in cui individua uno schema ineluttabile mutuato da Otto Spengler, profeta degli scrittori beat. Legge molto, Tacito, Il principe di Machiavelli, Balzac, Hugo, ma il suo «faro» è Tucidide. Poi sposa von Clausewitz e nella sua scrittura rimane sempre schietto nel suo pragmatismo yankee vecchio stile.

Il suo repertorio è un romanzo senza tempo che si può anche non leggere in ordine cronologico. Si può partire da Highway 61 Revisited, racconto on the road sublimato dal quesito esiziale «come ci si sente?» del brano della svolta elettrica Like a Rolling Stone, 6 minuti di genialità di cui il critico Greil Marcus dirà: «Brano scritto da un Isaia del Minnesota che invoca lo spirito di Hank Williams, di Robert Johnson e dei Rolling Stones cambiando per sempre il rock». Fu l'unico 45 giri a uscire in versione integrale, e quando i Doors chiesero di fare lo stesso con Light My Fire si sentirono dire: «Chi credete di essere, Bob Dylan?». C'è l'acerbo Dylan degli esordi che dedica canzoni al suo idolo Woody Guthrie, il quale commenta: «Quel ragazzo scrive grandi versi ma non sa proprio cantare». Ci sono le canzoni contro l'ingiustizia come The Lonesome Death of Hattie Carroll, crudo racconto dell'assassinio di una cameriera di colore ad un party nel sud razzista, c'è il viaggio in auto attraverso l'America di Kerouac vista con occhi strafatti di marijuana da cui nasce Another Side of Bob Dylan. Per scrivere le sue canzoni Dylan si ispirava, oltre che a Woody Guthrie, a Mike Seeger (da non confondere con il glorioso Pete Seeger), artista che padroneggiava tutti gli stili e che «irradiava telepatia». Scoprì così che certe cose non si possono insegnare e che, per scrivere, «dovevo modificare i miei schemi di pensiero interiori». Lavorò molto su se stesso continuando a progredire e a superarsi fino al capolavoro Blood On the Tracks (1975) con pezzi profetici come Idiot Wind e Shelter From the Storm, ballate descrittive e moderne come Lily, Rosemary & The Jack of Hearts che sembra un piccolo film western, canzoni d'amore come If You See Her, Say Hello che rimandano alle sue antiche e rabbiose ballad come Boots of Spanish Leather. Come non citare un altro caposaldo della poetica dylaniana infiammata dal rock come il mitico doppio album Blonde On Blonde, (1965).

La sua forza sta nel cambiare sempre mondo (da Blood On the Tracks al successivo Desire sembra di passare dal mondo di Picasso a quello di Delacroix), nell'affrontare con impegno e piglio dissacratorio i temi più diversi, dalla politica alla religione, dal mito alla storia, sempre dalla parte dei perdenti e di quelli che trascorrono la loro trista vita dalle parti di Desolation Row.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica