È il dossier recovery il tema principale dell'incontro di ieri tra il premier Mario Draghi, i ministri e regioni, province e comuni. Il capo del governo annuncia che il piano sarà consegnato il 30 aprile e che la sua supervisione politica «sarà affidata un comitato istituito presso la presidenza del consiglio a cui partecipano i ministri competenti». Il governo intende inoltre costituire delle task force locali che aiuteranno le amministrazioni territoriali a migliorare la loro capacità di investimento e a semplificare le procedure. Da parte del ministro per gli Affari regionali Mariastella Gelmini giunte l'appello a un confronto tra istituzioni nazionali, autonomie ed enti locali. «Siamo convinti - avrebbe spiegato - che per progettare e gestire un piano così importare ci voglia il coinvolgimento fattivo di tutti i livelli istituzionali». E il presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini si mostra subito collaborativo: «Poste le basi di un'alleanza istituzionale, sarà un'occasione unica per la ripartenza».
Nell'incontro di ieri si è parlato anche di riaperture, che le Regioni chiedono, anche se graduali e selettive. Il governo resta fermo sulla linea del rigore. Ma si intravede uno spiraglio: «In tutto c'è la volontà mia e del governo di vedere le prossime settimane come settimane di riaperture e non di chiusure», spiega Draghi nella conferenza stampa successiva al vertice. L'idea è di procedere, dati sanitari alla mano, per settori. Si inizia con parrucchieri, centri estetici, piscine e palestre. Mentre il ministro della Cultura Dario Franceschini lavora a un protocollo per far ripartire l'attività di musei e teatri. Il capo dell'esecutivo non fornisce una data. Ma si lavora per un cambio di passo dal 20 aprile. Il fronte dei governatori si spacca. Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, si sfila: «Fino a che non avremo immunizzato tutti i cittadini sarà difficile far partire le attività economiche. Tutti vorremmo accelerare i tempi delle riaperture, ma ieri abbiamo avuto 630 morti, è un bilancio di guerra. Dobbiamo stare attenti». Mentre il leghista Massimo Garavaglia, ministro del Turismo, ipotizza la data del 2 giugno, festa della Repubblica, per un ritorno alla normalità. La parlamentare Carla Ruocco (M5S) ammette: «I ristori da soli non bastano, dobbiamo programmare un serio piano per le riaperture».
Sempre a proposito di regioni, oggi è il giorno della tradizionale riunione della cabina di regia che sancirà la tavolozza dei colori per la prossima settimana. I numeri in deciso miglioramento (ieri 17.221 casi, in aumento rispetto al giorno prima ma in netto calo rispetto allo stesso giorno della scorsa settimana, 23,649. Inoltre -20 letti occupati nelle terapie intensive da pazienti Covid e 487 morti) consentono a molte regioni di sperare di scolorire in arancione, visto che per tutto aprile il giallo è bandito. Tra le nove regioni attualmente in rosso, quasi certa la «promozione» in arancione da lunedì 12 per la Lombardia (ieri 183,30 contagi settimanali ogni 100mila abitanti), Emilia-Romagna (207,30) e Friuli-Venezia Giulia (187,61). Sul filo il Piemonte (238,33) e la Toscana (230,06) che però qualche giorno fa erano sopra quota 250, e il report dell'Iss è indietro di qualche giorno rispetto a noi. Restano in rosso Valle d'Aosta (415,89), Puglia (257,89), Campania (198,61) e Calabria (138,27).
Queste ultime due pur essendo sotto il livello d'allarme sono in punizione per un'altra settimana in base al decreto entrato in vigore il 6 aprile. Tra le regioni attualmente arancioni nessuna rischia di diventare rossa.
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