Roma - Si va avanti, a maggioranza semplice e con tanti saluti alle opposizioni che abbandonano l'aula: «Dispiace che Berlusconi abbia rotto l'accordo, ma non ho niente da rimproverarmi». Il governo sceglie la linea dura, nonostante i mal di pancia interni anche al Pd, e cerca di portare a casa le riforme nel più breve tempo possibile. È il Matteo Renzi che «sente l'odore del sangue e scende nell'arena», dicono i suoi per descrivere il premier delle ultime ventiquattr'ore. Da quando, reduce dal vertice europeo di Bruxelles, è piombato in aula a sorpresa alle due del mattino, mentre i parlamentari si azzuffavano tra i voti a singhiozzo della seduta fiume, e ha affrontato a muso duro i deputati di Forza Italia, recentemente passati all'opposizione delle riforme votate insieme al Senato. «Minacce da bullo», le definiscono i berlusconiani. «Ricatti e violenze al Parlamento», tuona Renato Brunetta. Di certo, la minaccia del voto anticipato il premier l'ha messa chiaramente sul tavolo, andando sotto i banchi di Forza Italia e affrontando un gruppetto di parlamentari: «La riforma del Senato è ferma alla Camera da otto mesi, ora va approvata anche a costo di star qui sabato domenica e pure lunedì. Altrimenti prendo atto che la legislatura è finita e si va a votare, a me va benissimo». Il fittiano Latronico, un po' alterato, lo ha redarguito: «Ma come ti permetti, testa di c...». Renzi, racconta la deputata Fi Giuseppina Castiello, ha scrollato le spalle: «Facendo saltare l'intesa sulle riforme state portando il vostro leader alla rovina. Io sono pronto ad andare al voto anche con il Consultellum: ho dalla mia parte le televisioni, la stampa, l'opinione pubblica e il Paese». Gli replica Debora Bergamini. «Allora andiamo al voto, e vediamo col Consultellum se hai la maggioranza», lo sfida la portavoce di Fi. «In base ai nostri conti, la maggioranza al Senato ce l'avremmo e alla Camera vedrete che la troviamo». Del resto, lo stesso piglio bellicoso il premier lo ha usato anche con la fronda Pd, che dopo essersi strenuamente battuta contro l'orrido patto del Nazareno ora piange a calde lacrime per l'assenza di Renato Brunetta dall'aula di Montecitorio e dice che non si può cambiare la Costituzione senza le opposizioni. «Ma se l'abbiamo sempre fatto, noi nel 2001 col Titolo V approvato per soli cinque voti e Berlusconi col suo pacchetto di riforme nel 2006», se la ride Peppe Fioroni. E ricorda che l'allora capogruppo Ds Fabio Mussi, oggi con gli «aventianiani» di Sel, nel 2001 uscì dall'aula a braccia levate in segno di trionfo annunciando: «Abbiamo vinto!».
Ieri a strappare un sorriso al premier dicono sia stata la foto che immortalava la conferenza stampa delle opposizioni riunite nell'Aventino anti-riforme: Brunetta tra il leghista Fedriga e il capogruppo di Sel Scotto, con Pippo Civati poco distante a dare il suo silenzioso sostegno: «Guardali lì. Ma dove pensano di andare?». Poi annuncia allo staff: «Con questa foto ci facciamo i manifesti elettorali». Subito dopo fa partire il suo tweet: «La riforma sarà sottoposta a referendum. Vedremo se la gente starà con noi o con il comitato del no guidato da Brunetta, Salvini e Grillo».
Ai suoi fa capire che il fronte del no alle riforme non è così compatto: «Noi dobbiamo mantenere aperta la strada del dialogo ma non c'è motivo per interrompere la seduta fiume», dice all'assemblea dei deputati del Pd - vedremo se le minoranze restano unite o si dividono». Del resto, assicura Fioroni, «in Forza Italia c'è già la gara tra fittiani e verdiniani per chi ci garantisce il numero legale».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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