Renzi torna alla vecchia politica Vertice con bolliti e comparse

Il premier ha convocato a Palazzo Chigi ventuno comprimari che anche gli addetti ai lavori faticano a riconoscere

La premessa, d'obbligo, è che nessuno ignora le ragioni che hanno spinto Matteo Renzi a quello che per lui è un vero e proprio strappo alla regola. Perché è chiaro che se non ci fosse stato sul piatto il superiore interesse di mostrare i muscoli a un Silvio Berlusconi che da giorni fa il catenaccio sull'Italicum, mai il rottamatore per antonomasia si sarebbe sporcato le mani con un vertice di maggioranza in perfetto stile Prima Repubblica.

Detto questo, la cronaca è impietosa. E racconta un Renzi che lunedì sera ha riunito a Palazzo Chigi ben 21 esponenti della sua maggioranza, tirando avanti fino a dopo mezzanotte per apparecchiare ben bene la trattativa sulla legge elettorale: sul fronte Berlusconi, con una prova di forza, e sul versante Alfano, coinvolgendolo nella partita. Una scelta certamente ragionata quella del premier. E, probabilmente, per certi versi sofferta, visto che da situazioni come queste l'ex sindaco di Firenze si è tenuto sempre lontano. Da leader Pd, per dire, si è guardato dal presenziare i vertici convocati dal suo predecessore Enrico Letta, così da non sporcarsi le mani con quella vecchia politica che di lì a poco avrebbe dovuto rottamare.

Una strategia studiata a tavolino, che neanche un anno fa - lo scorso 16 dicembre - lo portò a presentarsi alla sua prima apparizione pubblica da segretario del Pd stravolgendo la rigida etichetta del Quirinale. In occasione del tradizionale brindisi per gli auguri di Natale, infatti, Renzi si presentò arrivando a piedi, senza scorta, con abito grigio (e non scuro) e guardandosi bene dal fermarsi per il buffet. Insomma, il messaggio era chiaro: io con i vecchi riti della politica proprio non ho nulla a che spartire.

E invece, neanche un anno dopo, Renzi si ritrova a Palazzo Chigi a fare gli onori di casa di un vertice di maggioranza come non lo si vedeva da tempo. Non tanto per il Pd che pure «scende» in campo con ben sei titolari: dalla ministra Maria Elena Boschi, ai capigruppo Roberto Speranza e Luigi Zanda, passando per Lorenzo Guerini e Anna Finocchiaro. Né per i quattro esponenti del Nuovo centrodestra che schiera sul terreno Angelino Alfano accompagnato da Gaetano Quagliariello, Nunzia De Girolamo e Maurizio Sacconi. Quel che davvero colpisce, infatti, è l'arrivo alla spicciolata a Palazzo Chigi di personaggi che perfino gli addetti ai lavori fanno fatica a riconoscere. Pronti ad entrare a favore di telecamera e poi uscire - i più - alla ricerca di un microfono per poter mettere nero su bianco che loro sì, c'erano. Con buona pace dei fotografi appostati in piazza Colonna, il cui compito più arduo non è la lunga attesa serale ma l'identikit di diversi partecipanti (Dio benedica Google e gli smartphone ).

Inutile dire che in riunioni così affollate da decidere non c'è proprio un bel niente. Troppa gente al tavolo, troppi interessi da conciliare. Servono, invece, ad agitare l'aria in favore di telecamera. A mandare messaggi a questo o a quell'avversario o interlocutore politico, a lanciare segnali di fumo o a mostrare i muscoli.

Che poi, non a caso, è quello che hanno fatto nell'ultima settimana sia Renzi che Berlusconi. Ognuno a modo suo, chi con un vertice di maggioranza e chi con un ufficio di presidenza del partito. Roba da Prima Repubblica, avrebbe detto il Matteo Renzi di un anno fa.

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