Roma - Settembre, andiamo. È tempo di migranti: mentre i profughi continuano a sbarcare sulle nostre coste, s'intensifica la grancassa della propaganda di Stato. Una «moral suasion» a colpi di fiction e film foraggiati dai soldi pubblici, per plasmare l'opinione pubblica. Al fine di portarla dove vuole il governo: verso l'accoglienza indiscriminata di rifugiati e migranti, intanto che il Paese collassa. I giovani lasciano l'Italia e i pochi rimasti non si riproducono, abitando con i genitori per incapienza economica? C'è sempre la questione dei migranti in primo piano. E un senso di asfissia promana dalla candidatura all'Oscar di Fuocoammare, docufilm di Gianfranco Rosi, regista che esiste solo in ambiti festivalieri, prolungamenti della politica con altri mezzi: egli ha vinto il Leone d'Oro a Venezia con Sacro Gra e l'Orso d'Oro a Berlino con il lavoro sui migranti, caldeggiato dal direttore Dieter Kosslick (vicino a Frau Merkel), giunto a distribuire 100 biglietti per la proiezione del docufilm con l'Orso in tasca.
Ancora Lampedusa e ancora la tragedia degli sbarchi per un documentario di modesto impatto (meno di 800mila euro d'incasso, in patria: 75mila all'estero), ma d'urto sull'agenda dei politici europei. «Questa candidatura va oltre il mio film», ammette Rosi. Ma oltre quanto, se pure il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, in quota leftist e membro della commissione giudicante, parla di «inutile masochistico depotenziamento del cinema italiano», visto che si potevano candidare film di fiction come Jeeg Robot e Indivisibili? Un dato su tutti: a finanziare Fuocoammare è Rai Cinema, con Istituto Luce e Mibact, organismi pagati con denaro pubblico.
Non a caso la presidente Rai Monica Maggioni afferma: «La candidatura di Fuocoammare è il riconoscimento per un'opera in cui il talento di Gianfranco Rosi si sposa perfettamente con la nostra missione di servizio pubblico universale». Detta così, il servizio pubblico pare al servizio della politica di Renzi, le cui nomine in Rai sono funzionali a un sistema propagandistico, con al centro il dramma dei popoli migranti.
Intanto, la miniserie Rai Lampedusa, con Claudio Amendola e Carolina Crescentini nei panni di un ufficiale della guardia costiera, coinvolto negli sbarchi clandestini sull'isola siciliana e di una volontaria dedita all'accoglienza, ha scontentato: la seconda puntata è stata vista da 3.298.000 spettatori, con un calo rispetto alla prima puntata che, il 20 settembre, totalizzava 4.169.000 spettatori.
Magari i teleutenti non ce la fanno a sorbirsi, oltre ai telegiornali e alle inchieste, anche una prima serata nell'inferno del Mediterraneo. «Si fa troppa propaganda. Questo è un argomento importante, non deve essere un bieco mezzo per racimolare voti», spiegava ai cronisti Amendola, quest'estate paparazzato su uno yacht al largo di Ponza. Si fa troppa propaganda, è vero. E se ne fa sulla pelle della gente. Ora Rai Cinema finanzia - con Fandango - l'ultimo film di Antonio Albanese, A casa, che parte da una provocazione: «Se tutti portassero a casa un migrante il problema sarebbe risolto».
Un'emigrazione al contrario, da Milano al Senegal. Un altro invito «a riflettere sul tema dell'immigrazione». E, insomma, «Follow the money», frase-chiave del film Tutti gli uomini del Presidente, non è mai stata così adatta ai tempi.
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