Sicilia, sudanese sul bus cerca di farlo sbandare Urlava: «Voglio morire»

L'uomo era disarmato: fermato da due agenti a bordo in borghese. I pm: «Non è terrorismo»

Valentina Raffa

20 giugno 2017. Il torpore dovuto alla calura siciliana di questi giorni ha preso il sopravvento sui passeggeri di un pullman partito da Marsala e diretto a Palermo. Il risveglio è terribile. La serenità del viaggio è interrotta da un passeggero. È straniero. Si pensa subito al peggio. Si cerca di comprendere cosa stia dicendo. Il tutto in pochi frangenti. Non si capisce cosa stia accadendo. Ed eccolo che avanza puntando dritto verso il conducente. Ed è un attimo. Lo strattona. Poi afferra il volante del bus, lo tira da un lato, tentando di farlo sbandare e uscire fuori strada proprio in direzione del vuoto, dal momento che il bus stava percorrendo un viadotto. È panico tra i passeggeri. L'autista che cerca di tirare dritto. Qualcuno dei passeggeri che grida, qualcuno resta senza fiato. È terrore sul pullman della ditta Salemi poco prima della galleria Segesta, in pieno viaggio. Solo il coraggio di due militari in borghese dell'Aeronautica, liberi dal servizio, che stavano viaggiando sul bus, ha scongiurato il peggio. I due, infatti, sono intervenuti e hanno bloccato lo straniero.

Si tratta di un sudanese, sui 30 anni, che, perquisito, non aveva armi. Vive in Italia dal 2011. Per sbarcare il lunario fa il bracciante agricolo. A indagare su quanto accaduto è la procura di Trapani, ma è stato coinvolto anche il pool anti terrorismo della Dda di Palermo, che coordina le inchieste sul terrorismo. A occuparsi del caso è il pm Gery Ferrara, che è specializzato proprio in anti terrorismo. Ieri sera la Digos ha interrogato l'africano che è stato fatto scendere a Castellammare del Golfo (Trapani). Si cerca di comprendere le motivazioni del tentativo di sabotaggio del mezzo.

«Non si esclude nessuna pista» dicono gli investigatori. «Allo stato non vi sono elementi tali da far ritenere il gesto legato a fatti di terrorismo« dicono il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, e il pm Ferrara. «Stiamo comunque indagando, come è opportuno, in questi casi. Ma parrebbe più un'azione scaturita da problemi personali». Pare che il sudanese di recente abbia perso la mamma. Si vuole comprendere se sia stato questo il fattore di stress.

Ma non si abbassa la guardia sul fronte terrorismo. Non è facile stare sereni. L'allarme è ormai scattato. Ovunque. La gente vive normalmente. Ma la paura è dietro l'angolo. Basta un rumore, un gesto, come può esserlo un segno di croce su un mezzo pubblico, com'è già accaduto, l'auto di uno straniero con un pacco sospetto che fa temere una bomba, com'è stato di recente nel Palermitano, a spedire la mente ai propri cari, pensando che sia finita.

La Sicilia, porta dell'immigrazione, ingresso principale della trasmigrazione epocale a cui stiamo assistendo, nel corso della quale, come segnalato da più istituzioni che ci hanno avvertito, potrebbe anche giungere qualche terrorista, è nuova a questo genere di allarmi. Se tutto il mondo è paese e ovunque ormai si teme un attacco terroristico, sia esso organizzato attraverso una strategia ben ponderata, oppure il gesto isolato di un adepto, la Sicilia è apparsa finora forse più come una terra «tranquilla», che potrebbe essere usata come fucina di jihadisti.

Basti pensare al percorso di radicalizzazione avvenuto nelle carceri dell'isola di Anis Amri, l'attentatore dei mercatini di Berlino, o all'operazione dell'aprile 2013 del Ros di Bari che individuò una cellula terroristica stabilizzata in Sicilia con l'intenzione di mettere a segno attentati in tutto il mondo.

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