Sovrintendenti in fuga da burocrazia e complotti

Scelta clamorosa quella del direttore d'orchestra Riccardo Muti che se ne va dalla caotica Opera di Roma: manca la serenità per poter lavorare, ha spiegato. Basta, insomma, con le pachidermiche istituzioni italiane dove artisti-girotondini che hanno una visione impiegatizia del proprio ruolo bloccano l'intera macchina operativa. Basta con le «resistenze corporative e autolesionistiche» che frenano la lirica italiana, tuona lo stesso ministro Dario Franceschini. Proteste continue, conflittualità, tempo speso a tessere tele-tutele minano lo stato di salute dell'arte musicale.

Colpa dei sindacati? «Non addossiamo a loro tutta la colpa. In Italia lavorare è complicato. All'estero c'è chiarezza e trasparenza operativa», osserva Stefano Mazzonis di Pralafera, unico sovrintendente italiano all'estero. È a Liegi da 7 anni e rimarrà fino al 2017. «Figuriamoci. Muti era abituato al lavoro rigoroso e ben strutturato di Chicago. Lì tutto è contrattualizzato. Si stabilisce quanti tè prendere con i donors , quante interviste rilasciare. Le regole sono chiare, ferree, non danno adito a fraintendimenti. Da noi c'è una flessibilità che diventa anarchia». Però i sindacati frenano senza ritegno... «Sono stati abituati così da un passato allegro. Ora si dice, basta è finita la ricreazione. Abbiamo abituato la gente a contratti integrativi indecenti, a 16 mensilità. Ora si cerca di tornare indietro ma non è facile». Soluzione? «Rifondare tutto. Fare una legge che rimetta tutto a zero. Altrimenti continueremo a perdere i migliori. Muti voleva rimanere, ci teneva. Ma non è stato messo nelle condizioni di operare. Speriamo che non si replichi anche con Chailly» che lavora nell'ordinatissima Lipsia ma dal gennaio 2015 guiderà la Scala.

Già. Le regole. Prendiamo il caso di Antonio Cognata. L'ex sovrintendente del Massimo di Palermo, amministrazione virtuosa, bilanci in regola. Tuttavia troppo ligio alle regole per durare. In un'intervista a Classic Voice dichiarò «una volta una spalla dell'orchestra ci comunicò che non avrebbe potuto suonare a una prima al Massimo per una delicatissima operazione ai denti ed esibì il relativo certificato medico. Scoprii che non era così e spedii il direttore artistico al teatro di Chieti dove trovò l'ammalatissima spalla del Massimo che accordava il suo violino in buca. Seguì licenziamento». Cognata, reo di essere poco tenero con i dipendenti, nel frattempo è stato rimosso dall'incarico.

L'Italia è maestra nell'accumulare le occasioni perdute. Nel caso specifico, brava ad allontanare direttori da tripla A. Ricordate il compianto Giuseppe Sinopoli? Anche lui sperimentò l'Opera di Roma. Aveva in testa un progetto che avrebbe richiesto pazienza e costanza. Si trovò a combattere con burocrazia, politica, lentezze, dispersione di tempo. «È più facile interpretare un papiro egiziano che gestire l'Opera di Roma», commentò. In conferenza stampa dichiarò «che lo vogliate o no, l'Opera di Roma è allo stesso livello di Tunisi». Lottare con complotti all'italiana? No grazie, e Sinopoli se ne andò a Dresda.

Proprio i complotti e inghippi vari scattati quando Alexander Pereira venne nominato nuovo sovrintendente alla Scala. Serie di operazioni concluse con la sua riconferma ma con decurtazione del mandato. Lo lasceranno lavorare nella Milano dell'Expo2015?

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