Stangata nascosta tra i rifiuti Tartassati negozi e ristoranti

Spazzatura diminuita, ma la Tari è cresciuta del 55%. Un peso di tre miliardi soprattutto sulle imprese. Confcommercio denuncia: pressione record sui locali

Stangata nascosta tra i rifiuti Tartassati negozi e ristoranti

L a stangata fiscale è nascosta dentro il sacchetto della spazzatura. La partita di giro è nota. Il governo taglia trasferimenti ai Comuni, ma lascia ampi margini ai sindaci su tasse tariffe. Le amministrazioni locali ne approfittano, si prendono una parte della «colpa» di un livello di pressione fiscale, ma chiudono i bilanci dell'anno senza rossi eccessivi. Il governo può dire di non avere aumentato le tasse. A rimetterci sono i contribuenti, a partire dalle piccole aziende e dai commercianti. La conferma, con cifre e percentuali, è tutta nel rapporto presentato ieri da Confcommercio «Tassa Rifiuti, azioni e proposte». N

egli ultimi cinque anni la produzione di rifiuti è diminuita sensibilmente. Ma la Tari, la tariffa rifiuti di competenza dei Comuni, è aumentata del 55%. In euro, sono 2,97 miliardi che gravano soprattutto sulle aziende e, più in generale, su un sistema economico già al collasso a causa delle troppe tasse. L'incremento maggiore si è registrato dal 2012, in coincidenza con l'altra stangata subita dagli italiani, quella sugli immobili con Imu e Tasi.Già questa è un'anomalia. Ma c'è dell'altro. Il rapporto della confederazione guidata da Carlo Sangalli segnala delle «distorsioni eclatanti» che riguardano le singole categorie. Alcuni negozi (calzature, librerie, cartolerie e ferramenta), hanno registrato un aumento del 50%. Altri esercizi come campeggi, distributori, pensioni, edicole, farmacie e tabaccai, aumenti - sempre nel quinquennio - tra il 100 e il 110%. La stangata lievita se si considerano alberghi con ristoranti: 220%. Sale al 320% per bar e pasticceria. Livelli da fine dell'impero romano per ristoranti, trattorie, osterie, pizzerie e pub (480%), Ortofrutta, pescherie, fiorai e pizze al taglio (650%). Per non parlare delle discoteche, già prese di mira dal fisco: 690%. Si dirà, colpa del packaging ingombrante e degli avanzi e dei crescenti costi che devono affrontare i comuni.

Ma non è così. Nello stesso periodo, la produzione di rifiuti è calata di 4,2 milioni di tonnellate. I rifiuti c'entrano poco, come dimostra l'elaborazione dei dati Opencivitas. Facendo la differenza tra la spesa storica dei comuni e il fabbisogno standard, emerge un extra costo di circa 1,3 miliardi. Soldi che i contribuenti pagano senza motivo. «È assolutamente necessario applicare con più rigore il criterio dei fabbisogni e dei costi standard per evitare che le imprese sopportino carichi fiscali eccessivi», spiega il presidente di Confcommercio Sangalli. Anche perché «questo livello di pressione fiscale e di costi sulle imprese impedisce al Paese di crescere a ritmi sostenuti». La lettura ufficiale di questo surplus di costi è l'inefficienza dell'amministrazione. In realtà nasconde un metodo che i contribuenti conoscono bene. I comuni fanno cassa con i rifiuti quando hanno ottenuto tutto il possibile dalle addizionali. Facile imporre una «tariffa» per un servizio essenziale, magari puntando l'indice su chi produce. Anche in questo caso la dimostrazione è nei dati e cioè nei divari tra i territori. Ci sono casi di comuni limitrofi in cui la spesa per la gestione di rifiuti, a parità di quantità e di qualità del servizio, arriva al 900%. La raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti non c'entra niente. Il problema è nei bilanci della amministrazioni comunali. Tra le curiosità che emergono dallo studio di Confcommercio, il Comune di Firenze che non brilla per efficienza.

L'amministrazione guidata dall'attuale premier fino al 2012, spende «circa il 20% in più rispetto al reale fabbisogno per il servizio di ritiro e smaltimento rifiuti, uno spreco che va a gravare soprattutto sulle imprese, su cui pesa il 65% del gettito.

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