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Vitalizi agli ex consiglieri anche quando sono inquisiti

È stato eliminato l'assegno per chi è stato un solo giorno in carica. Ma gli altri costano ancora oltre 687mila euro al mese

Vitalizi agli ex consiglieri anche quando sono inquisiti

La Calabria cancella lo scempio dei vitalizi che si maturano con un solo giorno da consigliere regionale, non certo la vergogna che ogni mese costa alla regione più povera d'Italia 687mila euro e spicci di vitalizi da corrispondere a quasi 150 ex consiglieri regionali «a riposo», con assegni che arrivano a 7.700 euro lordi di vitalizio. Un privilegio inaccettabile, tanto più se si pensa che una buona parte di loro ha in ballo qualche guaio con la giustizia.

L'altro giorno, per esempio, in un tribunale di Reggio Calabria uno di loro si è presentato da imputato in un processo con una delle peggiori accuse per un politico: essere un pupo al soldo della masso-ndrangheta che avrebbe infiltrato le istituzioni e condizionato tutte le elezioni negli ultimi vent'anni se non di più in provincia di Reggio Calabria. Alberto Sarra ha 54 anni, è diventato consigliere regionale nell'estate del 2004, dopo una ventina di giorni era già assessore e a settembre finisce indagato dall'allora magistrato di Catanzaro Luigi de Magistris con le stesse accuse che gli muove oggi il pm calabrese Giuseppe Lombardo per Gotha, il processo monstre scaturito da cinque diverse inchieste e che coinvolgono anche Gino Trematerra (4.367 euro), secondo i pm eletto all'Europarlamento nel 2009 grazie all'intercessione delle cosche. Sarra è già stato accostato alla 'ndrangheta, è stato accostato all'allora senatore Sergio De Gregorio, un suo collaboratore (Giovanni Zumbo) lavorava sia per i servizi segreti sia per le cosche, dieci anni fa è quasi morto per la dissecazione della aorta ma tant'è. Il suo assegno è di 7.500 euro lordi, finora è uscito indenne («Sono il politico più fesso e controllato d'Italia», disse a me e Antonino Monteleone sul libro Oh mia bella Madu'ndrina) ma stavolta potrebbe non farcela a uscire prosciolto.

Su molti di loro pende l'inchiesta Rimborsopoli, una potenziale mega truffa realizzata con alchimie contabili anche un po' ingenue, come far passare per «spese politiche» gratta e vinci e tv ma anche viaggi, utenze per elettricità, ristoranti e poltrone come fece l'allora Idv Emilio De Masi, condannato a restituire più di 20mila euro, tanto ne prende ogni mese 3.754 lordi. Uno scandalo che ha coinvolto Nicola Adamo (7.500 euro), l'ex senatore Giovanni Bilardi (3.183 euro), Luigi Fedele (7.500 euro), Giovanni Nucera (7.500 euro)) e Pasquale Tripodi (7.265 euro). Giulio Sarra è già stato condannato a restituire 13mila euro, tanto ne porta a casa ogni mese 5mila e rotti lordi, Antonino Rappoccio ne deve circa 55mila ma il suo assegno sfiora i 3mila lordi. Ad Adamo - finito pure nel mirino del pm Antimafia Gratteri in piena campagna elettorale - è andata peggio: secondo la Corte dei conti deve 235mila euro.

C'è Enzo Sculco (3.854 euro), dominus di Crotone con la figlia Flora consigliere Pd che ha una condanna in via definitiva per truffa, turbata libertà degli incanti, corruzione e concussione. Non se la passano male neanche Pietro Fuda (4.818 euro) e Sandro Principe (6.086 euro), entrambi ex sindaci che secondo i pm sono stati eletti con l'aiuto delle cosche. Sul primo, famoso per il suo «comma» che nella Finanziaria 2006 targata Prodi che accorciava i tempi di prescrizione per i procedimenti contabili a danno della Pa, poi stralciato, la Procura distrettuale di Reggio Calabria ha chiesto il rinvio a giudizio con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il secondo è accusato anche di corruzione elettorale aggravata. L'elenco sarebbe lungo, e non mancano i furbetti. Come Domenico Cersosimo, ex assessore alla Cultura con Agazio Loiero per 848 giorni. Grazie a un chip di 45mila euro versati nel 2011 prende da allora circa 3.600 euro lordi al mese. Il suo investimento è ampiamente ripagato.

Per la serie, in Calabria non si fanno mancare niente.

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