Geerten Waling, classe 1986, studioso dei movimenti rivoluzionari europei all'università di Leiden e osservatore del crescente sovranismo olandese, che secondo lui «ha conosciuto l'apice nella reazione del governo Rutte alle provocazioni di Erdogan».
Sorpreso dal risultato di Geers Wilders?
«Secondo me Wilders oggi è sollevato. Era terrorizzato dal suo successo, sappiamo che nelle scorse settimane quando gli sottoponevano i sondaggi che lo davano molto più avanti di Mark Rutte, anziché esaltarsi si deprimeva, non riusciva più a dormire. Ha cancellato gran parte dei dibattiti televisivi, non voleva confrontarsi. Anche l'incidente del poliziotto addetto alla sua sicurezza e scoperto a passare informazioni ad un gruppo criminale marocchino è stato usato per evitare uscite pubbliche».
All'università di Leiden, un bastione del pensiero libero, casa di Cartesio, Rembrandt, Spinoza, Einstein, Enrico Fermi, il fenomeno Wilders negli ultimi anni è diventato quasi una disciplina a sé, ci lavorano in tanti, giuristi, sociologi, storici della politica. Alcuni di loro, come Geerten, fanno parte di un club libertario che ha fondato Café Weltschmerz, video canale web molto influente nella circolazione delle idee in Olanda.
Qual era allora il suo obiettivo?
«Sappiamo per certo che Wilders puntava ad un risultato destabilizzante, non al primo posto. Non si sente in grado di governare, sa che non ne sarebbe capace, non potrebbe nemmeno assegnare alcun ministero a uomini o donne del suo partito in quanto lui è l'unico membro. Gli olandesi ne sono consapevoli da molti anni, Wilders è ormai parte del nostro sistema democratico, parafulmine del malcontento e la voce scorretta che molti vogliono far sentire. Spetta a lui affermare che l'Islam radicale sarà la più grande sfida per l'Occidente, perché Wilders è la versione politica di Oriana Fallaci, che è stata la grande profetessa della nostra epoca. Inoltre lui serve a portare in evidenza le contraddizioni della democrazia, che da una parte lo protegge fisicamente per permettergli di dire nella libera Olanda quel che pensa sull'Islam; dall'altra i giudici olandesi lo censurano e lo condannano per quel che dice sull'Islam».
Condannato all'eterna opposizione?
«È parte dell'establishment, infatti non c'è mai stata nessuna mobilitazione antifascista contro di lui. È in politica da sempre e il suo partito ha già 13 anni: Per intendersi non è un uomo fuori dagli schemi come Silvio Berlusconi nel 1992 o Donald Trump. Dice che non accetta compromessi, che governa solo se ha i voti per governare da solo, e sa bene che non accadrà mai. In questo abbastanza simile ai 5 Stelle italiani».
Nessuno prevedeva una così netta affermazione di Mark Rutte.
«Wilders puntava proprio sulla non vittoria di Rutte. Invece è stato un successo, nonostante la perdita di sette seggi rispetto alle precedenti elezioni. Successo dovuto alla spregiudicatezza del Premier, che ha cavalcato al momento giusto i temi del repertorio dell'avversario, e ad un grande colpo di fortuna, la crisi con la Turchia. Gli olandesi hanno ottenuto una reazione alla Wilders, ma senza quel marchio d'impresentabilità. Da statista duro, ma autorevole, credibile. Una conferma che Wilders fa parte del sistema democratico olandese».
Sembra quasi un ruolo da rompighiaccio...
«È grazie a lui se il multiculturalismo non ha più mercato nella nostra politica, mentre il nazionalismo è stato invece la chiave vincente. Facendo i conti i partiti che hanno fatto leva sull'orgoglio identitario hanno ottenuto il sessanta per cento dei voti. Mi fanno un po' ridere quei leader europei che applaudono alla sconfitta del nazionalismo. Ancora più ridere se sono dell'area socialista, come Hollande o Renzi, quando i laburisti sono pressoché spariti dal panorama politico. La vera notizia di queste elezioni non è tanto il risultato contenuto di Wilders, l'uomo sotto i riflettori del mondo, ma la scomparsa della forza storica della sinistra olandese. C'è poi una lezione utile per i cosiddetti politici mainstream che si stanno sottoponendo all'esame in Francia e Germania: per superarlo basta copiare i compiti dei populisti, come aveva già provato a fare Sarkozy con Marine Le Pen».
Lei è un esperto dei moti patriottici e rivoluzionari del 1848.
Vi sono analogie con questa stagione di sommovimenti in Occidente?«C'è soprattutto un elemento in comune, la volontà popolare di scardinare il sistema tecnocratico, il desiderio di costruire un nuovo kosmos di ideali».
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