Xi si mette nella Costituzione Vuole essere il nuovo Mao

I suoi principi politici saranno inseriti nella Carta cinese. Confermato il binomio «mercato e dittatura»

Davide Zamberlan

Prima di lui è toccato solo a Mao Zedong e Deng Xiaoping, i padri fondatori della Cina moderna. Gli unici che hanno avuto l'onore di vedere inserire nella Costituzione del gigante asiatico i principi del loro pensiero politico. A tanto sta puntando Xi Jinping, presidente uscente e che però sarà riconfermato alla guida del Paese per un secondo mandato. Basterebbe questo per inquadrare l'importanza del Congresso del Partito Comunista Cinese che si è aperto ieri a Pechino e che durerà una settimana. Ma c'è di più. Nelle nomine che verranno ufficializzate nei prossimi giorni e che porteranno a un rinnovo quasi totale del Comitato Permanente del Partito, il cuore del potere del regime, si potrà intuire il futuro di Xi Jinping. Nel caso non dovesse infatti uscire un'indicazione chiara sul delfino che gli dovrebbe succedere nel 2022, vorrà dire che la sua era potrà continuare per un terzo, inedito mandato. Venendo meno alla consuetudine che dagli anni novanta vede i presidenti cinesi rimanere in carica per non più di due mandati. Un'eccezionalità che renderebbe il regno di Xi Jinping il più lungo dai tempi di Deng Xiaoping.

Nel discorso di apertura dei lavori, durato quasi 3 ore e mezzo, Xi ha riassunto i traguardi raggiunti durante i suoi primi cinque anni di governo e ha delineato le sfide che attenderanno la Cina nel prossimo futuro. Il presidente ha salutato l'ingresso in una «nuova era» della politica e della potenza cinese, grazie a decenni di lotta senza pausa per fare uscire il gigante asiatico dalle sabbie della povertà. Paese in via di sviluppo, si definisce ancora la Cina, che sarà chiamata ad affrontare importanti sfide: «Non sarà una passeggiata al parco», ha detto Xi ai quasi 2.300 delegati giunti da ogni parte del Paese.

Se la Cina dovrà continuare a crescere per procedere lungo la strada dello sviluppo e soffocare la forze centrifughe che ne minano la stabilità, lo farà puntando di più sui consumi interni e sulla produzione manifatturiera di qualità, «concentrandosi sull'economia reale». Economia che si aprirà ancora di più verso l'estero proteggendo «i diritti e gli interessi legittimi degli investitori stranieri». Un'apertura economica che però non sarà accompagnata da nessuna riforma politica in senso occidentale. La Cina, infatti, si avvia a diventare «un grande, moderno, Paese socialista» entro il 2050, guidato da un socialismo che avrà caratteristiche cinesi. Cioè con una compresenza di apertura al mercato e di una ferrea e indiscutibile supremazia del Partito Comunista. In tal senso Xi ha espressamente escluso che ci possa essere «un paese, due sistemi»: nessuna svolta democratica per l'irrequieta Hong Kong, in cui anche in queste ore si stanno registrando proteste politiche contro il governo cinese.

In politica estera, se da un lato Xi ha affermato che la Cina non ha mai costituito una minaccia per gli altri stati dall'altro ha rivendicato come uno stabile progresso la costruzione delle installazioni militari nelle isole Spratly,

contese con gli altri Paesi che si affacciano sul mar cinese meridionale. La Cina, nella parole di Xi, non cerca un'egemonia globale ma «nessuno dovrebbe aspettarsi che accetti di ingoiare qualcosa che mini i propri interessi».

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