Nel periodo del Cossiga silenzioso e cauto, quando nulla lasciava prevedere il succedersi dirompente delle sue esternazioni, avevo avuto una piccola ma non irrilevante avvisaglia delle singolarità che l’uomo teneva in serbo. In un commento, sul settimanale Gente , alla sua elezione a capo dello Stato, avevo avanzato una supposizione che mi sembrava non solo sensata ma ovvia: ossia che l’atto formale con cui il nuovo presidente aveva restituito la sua tessera di democristiano doc fosse, appunto, un atto formale. Apparendomi chiaro che l’inquilino del Quirinale, pur consapevole dei suoi nuovi doveri, rimanesse nell’intimo un militante fedelissimo dello scudo crociato, come tale protagonista di tante vicende della prima Repubblica. Mi arrivò, a sorpresa, una lettera senza alcun contrassegno autorevole dello stesso Cossiga, scritta a macchina così maldestramente che suppongo l’avesse proprio battuta lui. Cossiga precisava, con quello scritto, che il suo allontanamento dalla Dc non era stato per niente un gesto dovuto e non sentito: ma che il suo distacco dal partito era vero, sostanziale. Pareva insomma di capire che Cossiga non si sentisse più democristiano.
Ho tenuto per me la precisazione, che non ha avuto seguito. Ma quando, smessa la compostezza da sardomuto e da notaio della Repubblica, Cossiga si è abbandonato a sfrenatezze politiche, la sua presa di distanza nella fase numero uno della presidenza m’è tornata a mente. La lettera a me diretta non fu che una delle eccentricità poco note che il Cossiga degli esordi quirinaleschi si concesse. Aveva voluto ad esempio che il corteo presidenziale con cui saliva al Quirinale sostasse al ministero della Marina dove lui, come capitano di fregata, chiese a norma di regolamento al suo capo di Stato maggiore il permesso d’accettare la presidenza. Nelle occasioni solenni il primo Cossiga era, come tutti i democristiani di rango, intelligente e prevedibile. Qualsiasi frequentatore del transatlantico di Montecitorio era in grado di riassumere un discorso di Forlani evocato adesso come sommo mediatore -prima che fosse pronunciato. Ma poi per Cossiga è cominciata una nuova vita, ed è sembrato che come il cavalier Marino- convinto che «è del poeta il fin la meraviglia» aspirasse soprattutto a sorprendere.
E senza dubbio ci riusciva. Probabilmente qualcuno riuscirà, meglio di quanto sappia fare io, a delineare la strategia politica di Cossiga nelle varie fasi d’un percorso costellato d’incidenti,funestato da tragedie, incalzato da maldicenze, eppure ridondante delle più alte cariche repubblicane. È una storia, la sua, segnata dai veleni degli avversari politici ma anche forse dai veleni interni a un partito, la Dc, che per questo aspetto sarebbe molto piaciuto ai Borgia. M’è parso indecente l’accanimento con cui s’è voluto infangarlo perché come sottosegretarioalla Difesa, s’era occupato di Gladio, l’organizzazione segreta allestita per agire nelfronte interno qualora l’Italia fosse stata attaccata. Il Cossiga anticomunista durante decenni drammatici benedisse tuttavia, come senatore a vita, la nascita del governo D’Alema, ponendo così fine allaconventio ad excludendum che vietava incarichi governativiper i comunisti o postcomunisti. Per completare ironicamente la svolta regalò a D’Alema un bambino di zucchero, a simbolo del vecchio detto propagandistico secondo cui i comunisti mangiavano i bambini. Era un vero democratico, un uomo pubblico di assoluta onestà e un eccellente pubblicista. Soffrì profondamente per l’assassinio di Aldo Moro, ma senza dimenticare che prima di lui erano stati freddati i cinque componenti della sua scorta,e che se si voleva trattare con i brigatisti bisognava ignorare il sangue già versato. Il suo tramonto è stato malinconico, segnato dall’improvvisazione e dalla depressione.
Con il suo nome o con vari pseudonimi ha a lungo inondato i quotidiani di riflessioni, commenti e sfoghi così frequenti ormai, che suscitavano poco interesseanche quando rievocavano momenti cruciali nella vita del Paese. Poi è tornato il silenzio, preludio dell’estremo declino.
Credo che vi sia stato in lui un contrasto tra la tradizione e la dedizione d’un professionista della politica, e le trovate d’un poeta dellapolitica che, appunto come il cavalier Marino, voleva meravigliare. Ci riuscì, ma non fino all’ultimo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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