Adalberto Signore
da Roma
Legge elettorale e devoluzione, ancora una volta legate a doppio filo, restano i due fronti su cui si sta giocando la battaglia tutta interna alla maggioranza. Una sfida allultimo tatticismo, nella quale le due fazioni - Udc da una parte, gli altri dallaltra - continuano con le manovre evasive, evitando con cura di mirare davvero al bersaglio.
Così, come da copione degli ultimi mesi, ieri è andato in scena lennesimo atto di quella che è ormai una vera e propria guerra di posizione. Si inizia in mattinata con la riforma elettorale. Lufficio di presidenza della Camera, infatti, rinvia la discussione sulla devoluzione a ottobre, causa ostruzionismo dellUnione. Aprendo la seduta, Pier Ferdinando Casini spiega che le richieste di intervento sul provvedimento sono già 274 e i tempi per la discussione non sono «facilmente preventivabili». Qualche leghista non gradisce (leurodeputato Francesco Speroni non perde loccasione per ribadire allUdc che «senza la devoluzione non cè più la maggioranza»), ma è solo un fuoco di paglia. Perché la decisione di Casini - stante lostruzionismo dellopposizione - è ineccepibile, ma anche perché la linea di condotta di Forza Italia e Lega non cambia. Nessuna polemica, come si ripetono nel primo pomeriggio a Palazzo Grazioli Silvio Berlusconi e Roberto Calderoli. Il premier, però, non manca di sfogarsi con il ministro delle Riforme, perché - è il succo del ragionamento - se dobbiamo andare avanti così, allora è meglio che i centristi si chiamino fuori, di modo che si va subito al voto e noi possiamo concentrare la nostra campagna elettorale in chiave anti Udc. Così, Speroni a parte, tutta la Lega sceglie la strada del basso profilo. Primo fra tutti Calderoli, che accoglie la decisione di Casini quasi con soddisfazione («va bene così»). Quando tornerà in Aula, infatti, il provvedimento avrà tempi contingentati e probabilmente saranno vincolati pure la data e lorario del voto. Lapidario Marco Follini, che quasi certamente non parteciperà al «Devolution day» in programma sabato a Reggio Calabria con Berlusconi, Gianfranco Fini, Calderoli e mezzo stato maggiore della Lega. «La devoluzione? Non è prioritaria, al primo posto - dice il segretario dellUdc a Sky Tg24 - cè leconomia».
A tarda sera, va in scena il secondo atto della disfida, con Casini che convoca la riunione dei capigruppo della Camera allargata al presidente degli Affari costituzionali Donato Bruno. Allordine del giorno, lemendamento sulla legge elettorale. Casini, infatti, vuole uscire dallo scomodo ruolo di arbitro (come presidente di Montecitorio, visto soprattutto lostruzionismo dellUnione) e giocatore (in quanto leader dellUdc, il partito che ha chiesto a gran voce il ritorno al proporzionale). Con un piccolo giallo, perché tutti si presentano da Casini alle 20, ma senza essere ricevuti. «Un gesto di grande scortesia», dice il capogruppo di An Ignazio La Russa. «Mi spiace per lattesa», replica il presidente della Camera, «ma avevo detto dopo la seduta», quindi alle 20.30. In verità, i tempi si sarebbero dilatati causa ripetuti contatti telefonici tra Palazzo Grazioli e la presidenza della Camera, alla ricerca di un emendamento sulla legge elettorale (anche «minimale») che possa soddisfare le esigenze di tutti. «Bisogna capire chi vuole questa legge», ha detto Casini ai capigruppo invitando la maggioranza a «riflettere» e chiedendo pure quali siano le intenzioni del governo.
Proporzionale, niente accordo sulle votazioni
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