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Quando la musica è operazione di marketing

Quando la musica è operazione di marketing

Isotta muore, straziata, in un vortice di note che non le lascia scampo. E con lei muore l'opera, che a pochi anni dal fatidico trapasso millenario ha ormai il piede nella fossa, destinata a riempire quel refugium peccatorum che custodisce le misere ossa della nostra tradizione musicale. A morte l'opera, la musica «colta» e tutti i filistei: critici parrucconi, melomani fissati, studenti di conservatóri Conservatòri (istituti musicali) e anche semplici appassionati. Insomma, tutti quelli che l'arte provano a capirla, non solo a ingoiarla così com'è. Roba da museo, buona ormai per il brodo culturale dei poveri intellettualoidi passati di moda. Ma all'occorrenza eccola rispuntare sulle etichette di qualche boccetta propinata da uno o dall'altro intelligente Dulcamara, che sa usare magnificamente le leggi e i gusti del mercato: prodotti che all'ingrediente principale di una melodia stucchevole e sempre uguale mischiano con accortezza qualche accordo di dominante, due o tre argute dissonanze, un passaggio d'effetto che strizza l'occhio ad un illustre spartito del passato. Ricetta infallibile che attraverso la nobilitazione del «classico» spaccia un prodotto che è poco più di una canzonetta.
Giovanni Allevi, domenica sera al Carlo Felice, ha fatto venire giù il teatro, applausi scroscianti, standing ovation: tutto per un'esecuzione musicalmente opinabile, ma con un risultato di immagine tendente ad infinito.
Una perfetta operazione di marketing, capace di accattivare il pubblico: ottimo mix di parola - l'introduzione ad ogni pezzo - gesti, che definiremmo da divo «di casta», usando la sua terminologia, e infine esecuzioni veloci, molto brevi e possibilmente non impegnative, che non facciano pensare troppo. Con tutto il rispetto, per carità, se piace.
Ma allora facciamo solo quello, senza notturni, preludi, o chissà quali altri remoti fantasmi: pane per i denti, o le dentiere, di musicisti tradizionali.

E così, dopo il colpo di grazia sulla povera Isotta, il coupe de theatre, il pezzo per la mano destra: idea geniale, che però aveva avuto già meno di un secolo fa un certo Ravel. Fortuna che la mano era quella sinistra.

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